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L'autistico rifiutato dall'hotel: Noi famiglia di frontiera Print E-mail
 
 
Ha avuto un'eco nazionale la vicenda della famiglia bergamasca di Calusco d'Adda alla quale un albergo di Jesolo aveva rifiutato la prenotazione perchè il figlio, di 28 anni, è autistico e quindi «avrebbe turbato i clienti». Ma Roberto, così si chiama il «respinto», con padre, madre e sorella è stato accolto in un hotel in Liguria e ha così potuto fare le sue vacanze.
Ora i genitori raccontano la loro vita quotidiana: «Siamo una famiglia di frontiera». Giorni fatti di pazienza, comprensione, amore e vera condivisione familiare: «Con Roberto viviamo sopra l'ordinario».

Ecco il loro racconto (da L'Eco di Bergamo dell'8 luglio)
Roberto è in bagno. Sta trafficando con la lavatrice. Si sente l'acqua che scorre. Di ascoltare le domande dei giornalisti non ne vuol sapere. Come se avessero la pretesa di poter sviscerare in una mezz'oretta di conversazione con i genitori cosa significhi portarsi sulle spalle quello che di fuori chiamano autismo, una malattia delle emozioni talmente prepotente che preclude un'esistenza cosiddetta normale. Una pensione di Jesolo ha trovato sconveniente ospitarlo per non turbare le vacanze dei clienti, considerati come tanti piccoli Buddha ai quali nascondere, tra spiaggia, piscina e ristorante, i comportamenti anomali di un giovane con emozioni troppo grandi da gestire.
 
Un rifiuto che, però, ha turbato il cuore degli italiani tanto che in molti hanno voluto esprimere la loro solidarietà alla famiglia.
Al mare Roberto, poi, c'è andato lo stesso. In Liguria, in un albergo non affetto da evanescenti turbe pregiudiziali. Qui nell'aria che profuma di basilico e sale s'è fatto le sue nuotate. S'è mangiato la pasta allo scoglio. S'è fatto insomma una vacanza con i genitori, Adriano e Ornella Bravi di Calusco d'Adda, che tengono d'occhio questo ragazzone di 28 anni che sente, vive e ingloba la realtà in modo diverso. A capire cosa significhi autismo occorre viverci in relazione tutti i giorni, 24 ore su 24. Solo allora si può scrivere qualcosa dal giusto peso specifico su una parola che ai profani desta paura, immotivata e irragionevole, che alza muri di incomprensione.
 
La sorella di Roberto, Marilisa di 20 anni, l'autismo lo conosce bene perché conosce suo fratello fin da quando era bambina. Così come lo conosce il nonno Pietro che non disdegna di tenerlo con sé quando i genitori vanno a fare la spesa. Comprendono quei suoi comportamenti che un occhio superficiale scambierebbe per capricci e musi lunghi da tenere a freno con due scapaccioni bene assestati. «Roberto non ha mai avuto amici - scrive Marilisa nella sua tesi di maturità classica intitolata "L'incomunicabilità-Le parole che non so dire" -, non ha mai provato l'emozione del primo giorno di scuola, il primo batticuore, il piacere di un gioco, il divertimento, la gioia dell'amicizia... Tutto ciò che insomma ha riempito e riempie la nostra sete di vita... Però Roberto non è stupido, a 17 anni vedeva i coetanei con il motorino e facendo brum-brum con la bici scappava fuori dal cancello per la strada... Mi trasmette angoscia pensare a questo suo dramma interiore: voler essere qualcosa con tutto se stesso ma aver talmente paura di quello che si vuole da fingere che non esiste, cancellare di desiderarlo, annullare se stessi».
 
L'autismo si combatte con l'amore. Terapia nella quale la mamma e il papà di Roberto possono a ragione definirsi esperti aiutati da un medico che li segue personalmente dopo averle letteralmente provate tutte. Sono una famiglia unita che ha rifondato se stessa convergendo le forze su quel primo figlio che, nato normalmente, ha manifestato la malattia a partire dai tre anni con atteggiamenti di chiusura all'asilo. E con la malattia, come un'edera malefica, si sono attorcigliati i pregiudizi attorno a un mal-essere che necessita ancora di molta letteratura medica per essere decifrato, affrontato e curato. «Ne abbiamo sentite di cotte e di crude, su come il nostro ambiente familiare fosse stato la causa scatenante dell'autismo di Roberto», precisa mamma Ornella.
 
Dicerie che feriscono, che umiliano, che alla volontà della conoscenza (che richiede tempo e pazienza) preferiscono la comodità dell'indifferenza oppure le boutade di chi vuole isolarsi nella cura del proprio giardino. Roberto ha fatto la Prima Comunione quest'anno. «Volevamo che affrontasse il sacramento - precisa papà Adriano - con una certa preparazione e non tanto perché si deve fare». La sua timidezza di fronte agli sconosciuti si scioglie per un attimo e spronato dalla mamma dice a mezza voce, prima di sprofondare con la testa sotto il cuscino del divano, che ora nel suo cuore ha Gesù.
 
La Cresima invece (in linea con le più aggiornate disposizioni circa i sacramenti dell'iniziazione cristiana) gli è stata amministrata in casa, due anni fa, dall'allora vescovo di Bergamo, monsignor Roberto Amadei. In salotto ci sono le foto della Confermazione «casalinga». Roberto è elegante, ma sul viso tradisce un'emozione difficile da smaltire. Come una bolla emozionale che non scoppia, che resta lì a fluttuare in pensieri solo suoi. Accanto, nelle immagini, c'è la sorella Marilisa e il suo sorriso gioviale è la traduzione visiva delle parole imprigionate nell'intimo di Roberto. È complicato avere in casa un ragazzo autistico.
I genitori non lo nascondono. «Siamo una famiglia di frontiera che lotta per i suoi diritti e accetta con umiltà le incomprensioni», dice mamma Ornella. La famiglia Bravi quindici anni fa è ricorsa al Tar perché un medico, diciamo troppo frettoloso nel visitare il ragazzo, aveva negato loro l'assegno di accompagnamento, quel sostegno economico statale, pagato dall'Inps, erogato alle persone impossibilitate a compiere gli atti quotidiani della vita. Ma sul rapporto con le istituzioni Adriano e Ornella Bravi preferiscono tacitare le incomprensioni e accettare ben volentieri la sensibilità di chi nel «pubblico» si accorge del problema e non volta la faccia dall'altra parte. «Però una cosa la devo dire - chiarisce il signor Bravi -: a dodici anni, in un anno di scuola, mio figlio ha cambiato nove insegnanti di sostegno non abbastanza formate sulla situazione con la quale dovevano confrontarsi».
 
Roberto reclama i suoi spazi. Questi giornalisti inopportuni gli mandano all'aria i programmi del pomeriggio. Ovvero il giretto in paese e poi the freddo e patatine in un bar che lo accoglie senza paure inconsistenti di smarrire la clientela. Mamma Ornella nel raccontare la sua esperienza di vita usa spesso il verbo sopravvivere, «un vivere sopra il livello ordinario», con un bagaglio di forze non comune. Impensabile fare i bagagli, andarsene a spasso come marito e moglie in posti di villeggiatura e lasciare Roberto alla sorella oppure in un istituto. «Non è giusto. Quale genitore, avendo un figlio accolto in un centro qualsiasi, potrebbe concedersi un periodo di relax?».
 
Sono una famiglia full time senza «se» e senza «ma», è il messaggio di mamma Ornella. «Una famiglia che ha scelto due part-time (uno per il papà ora in pensione, uno per la mamma operaia in un'industria tessile) per non lasciare solo Roberto». Ogni esperienza con lui è amplificata: andare dal dentista, portarlo in ambulatorio per un prelievo di sangue, la normalità di tutti i giorni con Roberto ha bisogno di un livello di attenzione maggiore perché la sua sensibilità che l'autismo dilata lo pretende. «Da piccolo poteva restare cinque o sei giorni senza dormire - ricorda il papà - e non si poteva lasciarlo solo. È un grande osservatore e l'intelligenza non gli manca di certo. È capitato che, a cinque anni, vedendo le chiavi dell'auto in giro per casa sia sceso, avviato il motore, innestato la marcia e via. Fortunatamente c'era un muricciolo davanti è la sua "fuga" si è interrotta sul nascere».
 
La sorella Marilisa cinque anni fa ha creato il gruppo «I ragazzi di Paglia».
«Ci troviamo in una taverna ricavata sotto casa - spiega - dove si crea attorno a Roberto un clima di amicizia dove si concretizzano anche spettacoli da rappresentare in qualche teatro che ci accoglie». Non deve essere inteso però come un volontariato. «Io ho la mia diversità - conclude Marilisa - Roberto ha la sua e gli altri del gruppo hanno la loro. Bene. Perché non creare qualcosa insieme?». Roberto sorride. Finalmente i giornalisti se ne vanno. Comincia il «suo» giretto.