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La terribile verità su Bruno Bettelheim Print E-mail
La psicoanalisi ci ha insegnato che un meccanismo psichico di adattamento e di difesa noto come razionalizzazione, ci può indurre a costruire intere trame razionali per giustificare e nascondere alla coscienza le ragioni più profonde e meno accettabili di nostre opinioni, decisioni, atteggiamenti e comportamenti. Un processo simile deve aver sostenuto in Bettelheim, esposto alla dura esperienza di un autoritarismo ingiusto e violento, l’avversione per ogni forma di autorità nella famiglia ed il rifiuto del valore costruttivo dell’autorevolezza nell’educazione. Un altro meccanismo psichico, consistente nel convogliare spinte pulsionali altrimenti poco controllabili in attività di valore ed utilità sociale o culturale, ossia la sublimazione, deve aver operato, sia pure con efficacia limitata, nel convertire la pedofilia di quest’uomo in un interesse teorico per la psicologia dell’infanzia.

Bruno Bettelheim, nato nel 1903, due anni dopo Jacques Lacan e la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, non fu un genio della psicanalisi, come purtroppo ancora si legge, né un pioniere della psicologia infantile, né tanto meno il fondatore di una nuova pedagogia in grado di "curare" anche i più gravi disturbi psichici dell’età evolutiva. Fu solo un grande mistificatore che ebbe l’idea di impiegare proprie esperienze, dati biografici e circostanze storiche per costruire un falso edificio di sapere ad elevato tasso ideologico, entro cui collocarsi come signore e sovrano unico ed assoluto. L’operazione riuscì perfettamente, se la leggiamo in termini di "marketing" del prodotto realizzato, in quanto si creò una moda per le idee e per il suo autore che prescindeva da un’approfondita conoscenza e da una seria valutazione critica da parte di esperti realmente competenti di psicopedagogia e psicopatologia.

Si può notare che, negli anni in cui Bettelheim creava il suo personaggio di ebreo perseguitato che elaborava teorie liberatorie, l’Italia era, nel campo della psicologia, una sorta di periferia culturale di un centro lontano e poco noto; fattore, questo, che probabilmente ha favorito la presa delle tesi propagandate e lo sviluppo del mito. In altre parole la penuria di psicologi per la mancanza delle stesse facoltà di psicologia, la carente formazione psicologica degli insegnanti e degli educatori e l’assenza totale di formazione psichiatrica, fuori di un ristretto ambito medico-specialistico, deve aver giocato un ruolo non secondario nel favorire la diffusione di idee più vicine all’istintivo principio di piacere che allo scomodo principio di realtà.

E’ più difficile comprendere perché ancora oggi, che le condizioni di istruzione e cultura psicologica e psicopatologica non sembrano essere così disastrose, si continui a guardare con interesse e simpatia a quelle tesi. Ma è opportuno rilevare un problema oggettivo che impedisce l’esercizio della critica, ovvero la scarsa disponibilità di dati di conoscenza: quasi come se vi fosse un patto non scritto fra editoria e cultura, nel nostro paese si continua ad ignorare la grande messe di saggi e testimonianze che da lungo tempo ha mostrato il vero volto di quella realtà, evitandone accuratamente la traduzione e la diffusione. Invece si continuano a vendere titoli come Psicanalisi delle fiabe, Fortezza vuota, Un genitore quasi perfetto e L’amore non basta, e molti ancora divengono ignari allievi di un maestro dell’inganno che la notte del 12 marzo 1990 si ubriacò di whisky e assunse una grande quantità di psicofarmaci per trovare il coraggio di suicidarsi per asfissia, chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica.

Bettelheim assunse la direzione della Scuola Ortogenica di Chicago con l’intento di farne la fucina di idee e la sede di sperimentazione di quei metodi educativi che attribuivano ai bambini angosce e paure per ogni cosa che potesse far pensare ad una forma di organizzazione sia dei rapporti umani che degli spazi vissuti. Molti genitori influenzati da questa impostazione ideologica eliminavano porte e maniglie, orari ed abitudini, ruoli familiari e sociali, compromettendo spesso l’igiene e l’efficienza dei più semplici compiti di cura personale, riempiendo i mobili di caramelle e giocattoli e, in definitiva, riducendo le opportunità per i propri figli di sviluppare senso di realtà attraverso la consapevolezza di sé e del mondo, cosa che ovviamente si ottiene esercitando abilità di interpretazione, comprensione ed adattamento a circostanze reali e non vivendo secondo un modello artificiale.

Si deve rilevare che proprio negli Stati Uniti il mito autocostruito di Bettelheim è stato pian piano demolito nel tempo, così che le rivelazioni di sevizie e violenze sessuali ai piccoli allievi della scuola di Chicago, enfatizzate dalla stampa dopo il suicidio del fondatore, non trovarono impreparato il pubblico americano. In Europa, al contrario, si è assistito quasi ad un occultamento di tutto ciò che potesse offuscare la fama dello studioso, come per una sorta di censura ideologica ispirata alla difesa del suo pensiero. Forse con la sola eccezione dell’Inghilterra, dove la diffusione di libri ed interviste americane è stata favorita dalla lingua comune. La cultura italiana si è distinta nel trascurare tutto ciò che potesse rivelare la vera natura di quel pensiero e di quella scuola. Basti pensare che la prima biografia scritta dalla francese Nina Sutton che, pur affermando la grandezza del pensiero di Bettelheim già evidenziava aspetti inquietanti del suo autore, sia stata tradotta in italiano solo nel 1997.

Già nel 1944, quando Bruno Bettelheim assunse la direzione della Scuola Ortogenica, molte persone del suo entourage sapevano che aveva millantato glorie accademiche e competenze mai possedute e lo ritenevano un imbonitore senza scrupoli e dalle smisurate ambizioni. Arrivò persino ad accusare gli Ebrei di essere stati poco coraggiosi al momento delle torture e della morte, per essere come sempre controcorrente ed attrarre l’attenzione su di sé. E’ noto che Bettelheim, sebbene fosse stato internato a Dachau e a Buchenwald, dichiarandosi apolitico e manipolando scaltramente delle relazioni personali, riuscì ad evitare la tragica sorte degli altri deportati. Al riguardo Richard Pollack, in quella che si ritiene la biografia più documentata (1998), è impietosamente chiaro dicendo che si attribuì "mille millanterie resistenziali" ed inventò di sana pianta un coinvolgimento nelle sue imprese della consorte del presidente degli Stati Uniti, Eleanor Roosevelt, per far si che si associasse la sua immagine a quella di una scrittrice che godeva di un’ottima reputazione internazionale per il suo impegno in attività umanitarie.

Era un maestro della manipolazione e della pubblicità del suo istituto ortogenico, delle sue idee e della sua carriera inventata e continuamente aggiornata con nuovi ed inesistenti allori. In realtà era stato un allievo attento e diligente alla scuola della propaganda nazista dalla quale aveva compreso come la forza delle idee dipenda più dal numero delle persone che le sostengono e dall’intensità con la quale lo fanno, che dal valore intrinseco delle idee stesse. Anzi, è necessario che queste siano semplici, comprensibili, di facile presa ed accettabili dalla maggioranza. E, cosa c’era di più accettabile in un’epoca che aveva conosciuto la barbarie e l’oppressione dei sistemi educativi nazisti e fascisti, che un’educazione senza autorità?

Dalle tecniche di propaganda nazista aveva mutuato anche i sistemi di amplificazione del valore di menzogne, che possono diventare verità narrative rilanciate in circoli viziosi in continua espansione grazie a nuovi adepti. Così la sua scuola era la sede di produzione di un sapere virtuale che, attraverso la pubblicistica e tutto l’apparato di indottrinamento fondato su riunioni, convegni e varie forme di didattica, creava all’esterno il mito di idee realizzate e realizzabili, che venivano riverberate sull’immagine stessa della scuola. Tutti i biografi concordano sul fatto che quella realtà di "grembo materno", come lui la chiamava, dove avvenivano guarigioni miracolose in assenza di autorità e distinzione di ruoli e competenze, non sia mai esistita. Anche le testimonianze spontanee al riguardo non lasciano ombra di dubbio.

La citata biografia di Pollack pubblicata anche in edizione francese e, a cinque anni di distanza dall’edizione americana non ancora tradotta nella nostra lingua, ha suscitato e continua a suscitare l’ "outing" di vittime di Bettelheim che a decenni di distanza trovano il coraggio di raccontare gli incubi rimossi di quelle esperienze infantili. In questo libro si narra uno di quegli episodi raccapriccianti che hanno indelebilmente segnato nella mente degli Americani l’esperienza della Scuola di Chicago e del suo padre fondatore.

In breve, Stephen Pollack, fratello dell’autore del saggio, a sei anni fu internato nella scuola e non ne uscì vivo: dichiararono che era morto precipitando da una scala, Bettelheim stesso disse: "Si è suicidato. La madre, i genitori, la famiglia, voi ne siete i responsabili." Questa tragedia sconvolse profondamente la vita di Richard che trascorse anni a documentarsi e ad indagare.

Molti pazienti hanno raccontato di sevizie e violenze e non pochi fra i collaboratori di Bettelheim hanno ammesso verità da codice penale sulle condotte del loro maestro. La mancata introiezione del principio di autorità da parte dei bambini, con l’assenza di riferimenti assoluti al bene e al male, costantemente interpretati l’uno come soddisfazione dei bisogni e dei desideri e l’altro come frustrazione, ne faceva delle più deboli, manipolabili, sprovvedute, confuse e disarmate vittime di desideri perversi e, per loro, spesso incomprensibili.

Una questione assume notevole importanza per la critica alle teorie pedagogiche della Scuola di Chicago: la sperimentazione a supporto di quelle tesi, che si sarebbe svolta in quell’istituto, si sa per certo che non è mai avvenuta. Bettelheim era autoritario, aggressivo e persino violento con i bambini che non gli obbedivano; alla sbandierata assenza di regole di autorità, faceva riscontro la presenza della ferrea legge totalitaria della volontà del despota alla quale, se non si veniva uniformati dalla manipolazione spinta fino al plagio e si tentava di ribellarsi, si era puniti umiliati e picchiati.

Inoltre le casistiche millantate dagli ortogenisti sono prive di qualunque prova documentale o tecnica e di fondamento scientifico. Oggi i suoi collaboratori rivelano ciò che poteva essere facilmente intuito da psichiatri e psicologi dell’infanzia. Bambini caratteriopatici con condotte aggressive o semplicemente carenti in affetto ed educazione familiare, venivano etichettati come psicotici gravi, così che Bettelheim potesse vantarsi di aver guarito sindromi che nessuno avrebbe potuto trattare con successo. Ad esempio, molta enfasi veniva data alla guarigione di bambini affetti da grave autismo: oggi è noto, grazie soprattutto allo studio funzionale mediante Tomografia ad Emissione di Positroni (PET) ed allo studio morfologico con tecniche avanzate di Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), che la quasi totalità dei bambini affetti da sindrome autistica nasce con un danno cerebrale strutturale e funzionale, che si esprimerà progressivamente durante lo sviluppo nella prima infanzia.

I quadri RMN e PET sono vari, ma riportabili a poche tipologie definite che consentono, ormai, la diagnosi di un danno al patrimonio neuronico di cui si studia l’origine genetica. La patogenesi "ideologica" sostenuta da Bettelheim gli consentiva di concepire una cura "ideologica" che, come diceva e scriveva, creava "un ambiente simile alla vita intrauterina con calore, comprensione, rispetto e libertà." Ovviamente in cosa consista la libertà per un feto inetto, rinchiuso nella cavità uterina e legato dal cordone ombelicale ad una placenta dalla quale è totalmente dipendente non è dato sapere, ma un fatto è certo: le guarigioni millantate non solo non si otterrebbero mai con quella od altre pedagogie, ma semplicemente non sono possibili.

Tradurre i libri e le testimonianze su Bettelheim è importante, non per istruire un processo postumo ad un ciarlatano criminale, ma per comprendere tutti i gravi errori che hanno portato la cultura italiana, prima a farne un mito e, poi, ad occultare la verità che potesse farlo crollare.
 
Giuseppe Perrella
BM&L-luglio 2003

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