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L’autismo non conosce razza, né origine etnica, né conto in banca. Colpisce giusti e ingiusti come la pioggia quando cade giù. Chi si accosta all’autismo con consapevolezza sa di farlo con solidarietà e comprensione. SIM…ONE non è la marca di una nuova linea telefonica unito ad un numero in lingua inglese. E’ il nome di un bambino che mi ha insegnato a conoscere, attraverso i suoi occhi, un mondo immenso di emozioni al cui interno però la presenza di catene delimitanti i suoi spazi bui non hanno permesso di valicare parti del suo “io”. SIM è l’inizio del nome di Simone, ONE indica il numero 1 in inglese. Simone è un numero 1, come lo sono in modo a sé stante tutti i fanciulli “speciali” come lui.
 
Occhi color nero con lunghe ciglia rivolte verso l’alto, sguardo trasognante, fisico longilineo ed elegante. Difficile per chi osserva dall’esterno definire Simone un soggetto con disturbi dell’area cognitiva, si è affascinati da una bellezza insolita, un fascino mediterraneo dietro al quale si cela una disabilità permanente, un disturbo pervasivo dello sviluppo che si conosce come autismo.
 
Sono una grande amante dello sport, per 22 anni ho praticato nuoto fino a conseguire il titolo di istruttrice nel 2001. Il mio tirocinio è stato espletato presso il CONI di Taranto con bambini normodotati, down e autistici. Decido così che la mia passione per il nuoto sarebbe divenuto il mezzo per far divertire, integrare, socializzare tutti coloro che necessitavano di una scarica di energia in più per vedere e vivere la vita con meno “fatica” e sentirsi parte integrante del nostro mondo. Nel frattempo ho conseguito il titolo da OSS (operatore socio sanitario), Braille, Lis. In questo anno scolastico (2008 / 2009) mi sono stati affidati tre bambini autistici presso una scuola primaria, continuando in tal modo la mia specializzazione nel campo della disabilità. E’ qui che ho ricevuto il dono di poter interagire con il mio piccolo amico Simone.
 
L’amico è colui dal quale si può attingere sempre, in modo positivo, anche dai suoi sbagli, è scambio di vite diverse, è colui che contribuisce alla crescita dell’altro se il suo sentimento è sincero e rispettoso. Ti lascia “libero” di agire per poi guardarti negli occhi facendoti riflettere sulle azioni compiute, elogiandoti se sono giuste consigliandoti se sono sbagliate. L’onore di essere al fianco di questo bambino ha permesso non solo una crescita formativa per entrambi, ma soprattutto umana per il mio essere.
 
Simone giunge in prima elementare ad 8 anni, i genitori hanno coscentizzato il reale bisogno di intervento collaborando e affiancando l’intero staff comprendente l’insegnante di sostegno, l’assistente, la fisioterapista e l’intero modulo dei docenti della medesima classe. Il piccolo è arrivato in prima elementare privo di ogni espressione vocale, deficitario nel padroneggiare codici di comunicazione, legate all’ espressione e alla comprensione. L’assenza di suono è dovuta alla sua incapacità di alternare la forma respiratoria per via bocca con quella eseguita normalmente e involontariamente con il naso. Contatto visivo assente, atteggiamenti pari al “l’enfant Souvage” (il ragazzo selvaggio, Francia, 1968), rituali che si materializzavano e si espletavano nella salita fulminea su banchi e davanzali.
 
Un lungo lavoro della percezione di sé, del suo corpo mediante strategie didattiche, giochi per la stimolazione sensoriale per mezzo di semplici strumenti quotidiani quali una pila luminosa (in una stanza con poca luce si traccia sulla parete una linea con la luce della pila che deve essere seguita con lo sguardo dal bambino. Oppure illuminare degli oggetti presenti nella stanza dicendo e facendo ripetere il nome), un pennello da make up (accarezzare il viso con il pennello), una palla da tennis morbida (farla stringere tra le mani), l’uso delle mani con le sue (le nostre mani aperte contro le sue sempre aperte, far spingere verso di noi), un materassino in gomma da palestra (farlo toccare con le mani, i piedi scalzi, farlo sdraiare rilassandolo con dei massaggi, indicando la testa, le braccia,le mani, le gambe e i piedi. Una volta presa confidenza con sé stesso e il materassino, invogliarlo a piegare la testa , le gambe e le braccia in un esercizio come puo’ essere una capriola). etc
 
Oltre a tutto questo, per sollecitare e sviluppare l’area cognitiva addormentata e poco stimolata in tempi giusti, e ormai tendente ad una cristallizzazione, si è intervenuti anche con la musicoterapia, questo ha permesso a Simone di prendere coscienza ( seppur in minima parte) della sua persona, facilitando in tal modo il riconoscimento e la percezione di altre figure diverse dalla sua, quali i compagni di classe.
 
I primi mesi sono stata percepita dai suoi occhi come estranea, mi vedeva… trasparente, ma sono giunti giorni che hanno fatto guardare con speranza al futuro. La mia mano prima allontanata come un oggetto di fastidio, troppo ingombrante per i suoi piccoli e delimitati spazi, dopo cercata dalla sua … come a esprimere il desiderio di invitarmi nel suo mondo, avvertendomi quasi come parte del suo corpo, ecco che il lavoro di insegnamento per sviluppare la sua percezione visiva diviene il gioco da eseguire in due. Reggo tra le mani una sagoma di un pesce in plastica colorato, sulla base dei fori tra i quali è stato fatto passare un cordoncino di colore giallo. La sua mano sinistra, tozza con dita spatolate, regge il capo del cordoncino, la sua mano destra invece cerca la mia quasi a dirmi lavoriamo – giochiamo insieme, mentre il suo sguardo si sofferma a guardare la mia espressione quasi a cercare conferma e approvazione del suo coinvolgermi.
 
Ho vissuto quest’avventura senza frontiere, è stato come essere cullati nel grembo della notte, travolta da una battaglia contro il buio, ma Simone con le sue regole del gioco unito alla forza della mia “mano” ha saputo invitarmi e invitarsi in un uno stesso mondo su una giostra di colori, dove il senso dell’oscurità lasciava spazio alla luce.
 
In un bambino normodotato stimoli inaspettati possono essere elaborati con facilità e con senso critico. Nel bambino autistico questo non avviene a causa della mancanza di capacità di controllo dell’attenzione, questo non permette di percepire l’arrivo inaspettato di informazioni esterne.
 
Col cuore in gola e l’emozione racchiusa in quel magnifico forziere che è l’animo umano ho udito dopo nove mesi il suono della sua voce, e commossa ho visto una madre in lacrime esprimersi nel concetto “dopo 8 anni sento e conosco la voce di mio figlio”.
 
I suoi profondi occhi scuri dalle lunga ciglia nere si incrociavano con chi pronunciava il suo nome ( seppur per pochi minuti).
 
Lavorare in modo costante, impegnando anche l’ultima briciola di energia, specchiarmi nel suo sorriso ogni volta che pronunciava “ho..hè..a..na” (il mio nome Loredana) ha sciolto ogni nodo di stanchezza compensando ogni fatica. Anche da un suo silenzio si può apprendere, basta saperlo ascoltare.
 
Interagire con un bambino autistico dona spazio alla riflessione, ai pensieri che liberamente si muovono nell’immenso archivio della mente… all’emozione che una parola non ben definita può elargire.
 
Caratteristica fondamentale del nostro cervello è essere consapevoli della propria consapevolezza, essere coscienti di esistere in quanto entità pensante responsabile delle nostre azioni. Una caratteristica non presente nel bambino autistico, al quale si arriva con conoscenza, partecipazione, costruzione, rispetto, imparando ad abbandonarsi ad un MODO e MONDO paralleli ai nostri.
 
Loredana Imperiale