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Il Modello DIR - un approccio di cura originale Stampa E-mail

Un approccio di cura originale

Di Maria Teresa Sindelar
(Psicologa, psicoterapeuta e docente allo "Jung Institute" di Zurigo, Svizzera)
 

Il "Modello DIR" rappresenta un nuovo approccio nel trattamento di riabilitazione dei bambini con severi disordini nella relazione e nella comunicazione. Lo conferma il racconto delle esperienze dei genitori che l’hanno applicato.
  

Sessanta anni fa Leo Kanner fece una brillante descrizione di un gruppo di bambini autistici; da quel momento due modelli opposti, quasi antagonistici, hanno dominato il trattamento dei bambini con disturbi nello sviluppo.

Le correnti psicodinamiche a partire dall’osservazione delle gravi difficoltà di comunicazione e di rapporto tra questi bambini e i loro genitori, hanno invertito nell’analisi i fenomeni e hanno interpretato come causa ciò che era effetto. Sono partite dall’ipotesi di una grave difficoltà dei genitori come fattore traumatico, il quale provocherebbe il fallimento del rapporto e il consecutivo ripiegamento del bambino in un mondo di fantasia come meccanismo difensivo; sono arrivate a trattare esclusivamente i genitori invece del piccolo, cercando di evitare così il loro presunto effetto nocivo sui bambini. È facile immaginare il divorzio terapeutico fra i professionisti e i genitori, così stigmatizzati, e la sofferenza di questi ultimi, già preoccupati per la malattia dei loro figli. Non dimentichiamo che, in quel senso, l’autismo è particolarmente devastante, perché sono alterati nei bambini molti degli aspetti fondamentali che ci distinguono come essenzialmente umani: il contatto con gli altri, la tendenza a comprendere gli stati mentali degli altri, l’empatia e così via.

I progressi nella comprensione delle neuroscienze hanno permesso, invece, l’apprendimento di molti di questi fenomeni; per esempio, ora si considera l’autismo come una sindrome clinica complessa, con difficoltà qualitative nell’interazione sociale, nella comunicazione e nella presenza d’interessi limitati e attività ripetitive come espressione di uno sviluppo biologico diverso. Al contrario di questo modello sono state messe a punto tecniche comportamentali che cercano di sviluppare attività isolate che hanno portato all’abbandono della complessità delle analisi psicopatologiche, quindi anche parziali nella loro efficacia.

Dalla prima descrizione dell’autismo si sono realizzati enormi sforzi e progressi in tutti i settori della ricerca scientifica, cercando di capire la sua eziologia, di scoprire le sue manifestazioni precoci e di agire su di esse il più presto possibile. Si è osservato che alcuni sintomi particolarmente rigidi, in realtà, sono patrimonio di bambini di età superiore, considerando così l’autismo nella fase iniziale come una disfunzione precoce della intersoggettività che può essere intervenuta prima di diventare difetto permanente. Il trattamento deve quindi essere inteso come un mezzo per alterare le funzioni cerebrali e le strutture, e non solo il comportamento. Nonostante questo enorme patrimonio di ricerca e di sviluppo scientifico, esiste ancora un notevole divario tra gli sviluppi teorici e pratici e gli interventi clinici.

Ogni volta che un medico e un educatore ricevono per la prima volta un bambino con gravi disturbi nella relazione e nella comunicazione sorgono questo tipo di domande:

Qual è l’approccio migliore per questo bambino e la sua famiglia? Dato che la sintomatologia dei disturbi è molto complessa, da dove si deve cominciare la riabilitazione?

Quando un bambino migliora (spesso grazie a persone al di fuori del rapporto del gruppo di professionisti) manca la visione di ciò che ha causato il miglioramento. Perciò se cambia il terapeuta il lavoro iniziato va perso e si deve ricominciare. Non essendo in possesso degli elementi acquisiti fino a quel momento si rischia di non configurare un lavoro terapeutico sistematico. Per i bambini e le famiglie, quindi, è sempre un eterno ricominciare, di servizio in servizio, da un professionista all’altro. Le cartelle cliniche si trasformano così in una sorta di compendio dei difetti o delle competenze raggiunte che non rappresentano il profilo funzionale del bambino e ancor meno, oltre le sue debolezze, i suoi punti di forza. Essi sono spesso una combinazione di deficit e rivelano poco o nulla dei punti forti d’ogni bambino, davvero elemento cruciale per stabilire l’inizio del piano di riabilitazione.

Fra le domande che sorgono durante il lavoro con bambini con DSA (Disturbo delle spettro autistico), vi è quale sia il ruolo che svolge la famiglia nel processo di riabilitazione: dovrebbe essere soltanto un partner passivo nella riabilitazione dei bambini, portandolo al servizio terapeutico per poi continuare "la vita normale a casa", o dovrebbe essere un vero e proprio partner nella riabilitazione? In caso affermativo, di che tipo? Come si può stringere un’alleanza con la famiglia senza sovrapporre i ruoli?

A tutte queste domande, che dimostrano la complessità dei problemi che si devono affrontare nella riabilitazione di un bambino con DSA, cerca di dare elementi di risposta il Modello DIR (Greenspan & Wieder, Cidt - Sindelar Research Center Argentina, 1995), basato su un processo di riabilitazione intimamente legata al concetto di sviluppo delle differenze individuali e della costruzione delle relazioni umane emotivamente significative che servono a promuovere l’evoluzione infantile, e anche al concetto di gruppo interdisciplinare che funziona insieme per un trasferimento di conoscenze di ogni disciplina a ogni membro del team, con un incremento dell’empatia di ciascun operatore per lavorare con il profilo unico d’ogni bambino.

Il significato del Modello DIR

Il Modello DIR, creato da Stanley Greenspan e Serena Wieder (Washington DC, 1997) è un modello basato sullo sviluppo (D) che tiene in conto le differenze individuali nel modo in cui ogni bambino riceve informazioni che vengono dal mondo, come le elabora e come dà una risposta, elementi chiave per la costruzione di pattern per il rapporto con l’esterno e il rapporto con le persone. Si tratta anche di un modello centrato sulla creazione di relazioni emotive significative come promotori di sviluppo e d’apprendimento veri.

Il Modello DIR si basa su un’attenta osservazione dell’interesse naturale del bambino, delle sue motivazioni e del suo peculiare modo di interagire con l’esterno per consentire all’operatore di entrare nel suo mondo e, pian piano, portarlo verso un universo di condivisione. Questo è impossibile se non si conosce il profilo individuale di ciascun bambino. Per questo si lascia la generalità per entrare nel mondo d’ogni singolo paziente, elaborando un intervento "su misura", in accordo col profilo individuale di quel bambino.

Il significato della D del modello Greenspan propone un modello di sviluppo sano per ogni bambino, relativo alle diverse capacità che dovrebbe maturare nell’arco della vita, fondamentali per la piena espressione dell’intelligenza, dell’affettività e della socialità. Tali capacità sarebbero deficitarie o assenti nei bambini con gravi disordini nella relazione e nella comunicazione.

Secondo il Modello DIR, il bambino deve essere attento e regolato, al fine di imparare a mantenere un rapporto d’intimità con il suo caregiver ed essere un comunicatore di due vie: all’inizio mediante una comunicazione gestuale e poi mediante una verbale più complessa per raggiungere il mondo simbolico ed essere in grado di collegare diverse idee e diversi stati emotivi in una rete complessa cognitiva e affettiva. Il ruolo dell’operatore e della scuola è quello di aiutare i bambini a raggiungere il massimo livello possibile di tali capacità.

Le capacità funzionali emozionali sono, da un lato, una base fondamentale per un sano sviluppo e, dall’altro, danno al bambino, secondo un punto di vista clinico, elementi di lotta contro i sintomi centrali dell’autismo: 

1.    un bambino coinvolto (in engagement) sarà meno isolato; 

2.    un bambino che comincia a comunicare diviene meno rigido, più flessibile, con più o meno deliberata persistenza e incorpora una maggiore informazione del mondo migliorando la sua performance cognitiva.

Lo sviluppo della gestualità gli permetterà di evitare situazioni comportamentali gravi, molte volte come risultato di un sovraccarico sensoriale, per esempio: 

    • se un bambino è sovraccarico, in un clima pieno di voci e suoni che lo perturbano, soffre a causa dei suoni e non è in grado di fare nessun gesto per far conoscere quello che lo disturba. Si isolerà e diventerà probabilmente aggressivo per evitare questo sovraccarico di stimoli.

Lo sviluppo della gestualità sarebbe quindi uno strumento per comunicare ciò che provoca questa sofferenza ed evitare comportamenti aggressivi, causati dalla situazione disturbante.

Nel Modello DIR i sintomi dei comportamenti che si esprimono nel Disturbo dello spettro autistico (DSA) sono considerati come problemi derivanti dalla mancanza di modulazione sensoriale e della pianificazione motoria. Per questo motivo è importante conoscere l’individualità di ogni bambino nel suo modo di gestire l’informazioni che riceve dal mondo esterno in tutti i canali sensoriali: come usa la sua visione, come sente il suo corpo, come gestisce il suo equilibrio...

Un ragazzo che vive grossi disagi in tal senso, avrà grandi difficoltà nella possibilità di creare pattern di funzionamento adeguati per muoversi con gli altri.

I progressi nelle neuroscienze (NIH, The National Institutes of Health, Nancy Minshew) considerano fondamentale questo aspetto dei problemi dei bambini affetti da DSA.

Il Modello DIR, facendo riferimento ai risultati delle più recenti ricerche, propone un intervento intensivo, sistematico, allargato e che coinvolge tutti i setting della vita di un bambino. Tiene conto che per raggiungere la riabilitazione non è sufficiente "un’ora di psicomotricità" o "due ore di logopedia", perché la complessità del disturbo implica un programma allargato di riabilitazione.

Questo modello d’intervento coinvolge le famiglie e la scuola: insieme puntano a sviluppare determinate capacità funzionali, ristrette o assenti nel bambino con autismo.

La tecnica del "Floor Time"

Nel Modello DIR è senza dubbio la tecnica del Floor Time ciò che ha reso questo approccio così famoso: una tecnica d’intervento, ma anche la filosofia del Modello DIR.

Il Floor Time parte da un’osservazione attenta dell’interesse naturale del bambino. Non esistono i bambini che non fanno nulla, e se crediamo che ciò che fanno corrisponde alla loro motivazione e anche a un modo di regolare il proprio sistema nervoso, sarà un’attenta osservazione di questo aspetto quella che darà all’operatore la chiave per entrare nel mondo dei bambini. Entrare nel loro mondo senza pretendere che essi vengano al nostro, è il primo obiettivo del Floor Time. Significa entrare nella realtà del bambino per introdurre progressivamente sfide e portare il bambino alla condivisione, raggiungendo i migliori livelli delle sue capacità funzionali emozionali. Il Floor Time vede nei sintomi non solo l’aspetto deficitario, ma anche un’opportunità per l’interazione.

Approfittare di ciò che il bambino fa e trasformarlo in un elemento di comunicazione, sarà uno strumento essenziale per educatori e genitori. I genitori sono spinti a scoprire il potenziale dei loro figli, a essere più creativi e a trarre vantaggio dalle situazioni quotidiane per trasformarle in uno strumento di apprendimento.

Da quando nel 2003 abbiamo introdotto il Modello DIR in Italia molte famiglie hanno lavorato con me e sono notevoli i successi ottenuti. Anche diverse scuole, a Roma e Milano, stanno lavorando con un intervento d’inclusione per i bambini secondo il Modello DIR.

Si tratta di un nuovo percorso appena iniziato ma del quale si possono già constatare i numerosi vantaggi. Ecco alcune testimonianze da parte dei genitori dei bambini italiani che stanno già lavorando in conformità a questo modello e che osservano dei cambiamenti nella vita dei figli.

Maria Teresa Sindelar
   

BISOGNA DESTARE L’INTERESSE DI AMBRA
«Abbiamo guardato nostra figlia con occhi nuovi»

Nostra figlia Ambra, una bimba di quasi tre anni, è affetta da ritardo dello sviluppo psicomotorio. Viviamo in provincia di Napoli e abbiamo girato tutti gli ospedali del circondario in cerca di uno specialista che ci sapesse dare spiegazioni del disturbo di nostra figlia. Meno di un anno fa siamo venuti a conoscenza, del tutto casualmente, dell’approccio terapeutico DIR/Floor Time attraverso il libro di Stanley Greenspan Trattare l’autismo, dal quale abbiamo appreso che la referente in Italia è Maria Teresa Sindelar.

Ci siamo subito messi in contatto e incontrati con lei lo scorso novembre. Siamo rimasti veramente impressionati dal suo approccio: per circa tre ore è stata seduta a terra sul tappeto a giocare con nostra figlia, mantenendola coinvolta in ogni singolo istante. Ci sembrava di assistere a un miracolo.

Tutto ciò ci è apparso ancora più impressionante pensando ai nostri specialisti che reputano il compito di interagire con i bambini di competenza esclusiva dei terapisti e si limitano a una osservazione di pochi minuti preceduta da un breve scambio di informazioni con i genitori, dei quali raccolgono e mettono a verbale la testimonianza.

L’incontro è stato denso di informazioni e di suggerimenti; ci sono stati illustrati, come mai era stato fatto fino a quel momento, i motivi per cui nostra figlia si stacca dal mondo e il modo per far fronte alle sue difficoltà. Da questo incontro siamo usciti arricchiti, ma soprattutto in grado di guardare con occhi nuovi nostra figlia.

Adesso so che quando Ambra non si gira a guardarmi mentre le parlo è perché non le sto dando degli stimoli uditivi interessanti, e se non interagisce con me è perché non sono riuscita a destare il suo interesse. Sono consapevole che tutto ciò non dipende assolutamente, com’è opinione diffusa, dal fatto che lei non abbia voglia di agganciarsi al mondo o perché, come mi hanno ripetuto fino alla noia i nostri terapisti, «i bambini che hanno il disturbo di sua figlia possono farti vedere i sorci verdi per mesi, ma noi continuiamo imperterriti a ripetere i nostri esercizi; a un certo punto, a volte anche dopo mesi, magicamente si sbloccano». Tutto dipende, invece, dalla nostra incapacità di suscitare il loro interesse, e fintanto che non riusciamo a ottenerlo, qualunque tipo di lavoro svolgiamo con loro diviene sterile.

Una cosa che ci ha colpito molto nel libro di Greenspan è l’affermazione che nessun bambino che si isola dal mondo ha voglia di rimanere nella sua condizione.
  

STEFANIA E UNA DIAGNOSI DEVASTANTE
Una bambina dotata che rischiava l’isolamento

Stefania aveva appena compiuto tre anni quando, a seguito di una segnalazione della scuola materna, è stata sottoposta a un esame presso un noto professore in Neuropsichiatria infantile di Milano. La diagnosi fu devastante: secondo il parere del gruppo medico Stefania era affetta da una grave forma d’autismo che le avrebbe impedito ogni possibilità di svolgimento di vita normale: comunicare con altre persone, o da adulta riuscire a vestirsi.

Solo dopo molte consultazioni con medici specialistici che variavano dalla diagnosi appena citata ad altre simili, scopriamo che la bambina ha solo bisogno di tanto amore. Per svariati mesi alla domanda su cosa potessimo fare noi genitori, abbiamo ricevuto alzate di spalle senza nessuna indicazione.

Grazie a un articolo del Times, e avendo contattato un centro negli Usa, abbiamo ricevuto l’indirizzo della professoressa Sindelar in Svizzera, che ha preso in cura Stefania da circa due anni.

Stefania sta per compiere sei anni, comunica e gioca con altri bimbi della sua età, più piccoli e più grandi. Inoltre ha un’estrema predisposizione per il disegno, per la musica, per le attività che richiedono l’impiego di un Pc e permettano un collegamento a Internet.

Alla scuola materna è diventata "esempio" per gli altri bambini: al saggio di fine anno ha suonato lo xilofono mentre tutti cantavano ed eseguivano la musica secondo la melodia e il ritmo eseguito da Stefania per circa due minuti senza sbagliare una nota.

Da alcune settimane, Stefania ha imparato da sola a leggere e a scrivere. Una sera l’abbiamo vista sul divano con un libro per bambini in mano: stava leggendo (certamente, parola per parola). Stupiti la mattina seguente, accompagnandola alla scuola materna, abbiamo domandato alle insegnanti se le avevano insegnato a leggere qualche parola. Per tutta risposta ci hanno chiesto se non fossimo stati noi genitori.

Nostra figlia è dotata di qualità speciali che le permettono di eccellere in determinati ambiti ma ha delle difficoltà in altri. Con la supervisione della dottoressa Sindelar e un accompagnamento continuo, Stefania sta effettuando progressi enormi e stupisce tutti con il suo sviluppo. Se ci fossimo rassegnati a quanto ci avevano diagnosticato inizialmente, avremmo molto probabilmente condannato Stefania a una prospettiva futura limitante nello sviluppo delle sue capacità, o ancora peggio, all’isolamento sociale.
  

ANGELO NON È UN "CASO"
«Oggi ride, gioca, si relaziona con empatia e parla»

Scoprire che Angelo era affetto da una malattia terribile che gli avrebbe limitato la vita ha avuto su di noi un effetto devastante. E in questo il servizio sanitario da noi consultato è servito solo a farci sprofondare nella disperazione di chi si sente dire che dall’autismo non si guarisce e che solo dopo anni di terapia nostro figlio avrebbe imparato a esprimere i suoi bisogni primari.

Inoltre cresceva in noi un feroce senso di colpa: venivamo accusati di essere genitori non collaborativi e disinteressati ai miglioramenti del bambino. I neuropsichiatri, nonostante il titolo di studio altisonante, erano persone superficiali e altezzose. Trattavano il bambino come un topo da laboratorio chiamandolo "il caso" e facendolo sempre arrivare a pianti disperati a ogni visita.

Stanchi di non riuscire ad avere spiegazioni, dopo lunghe ricerche su Internet e molte testimonianze di altri genitori, abbiamo scoperto il Metodo DIR e la professoressa Sindelar. L ’abbiamo incontrata in una struttura senza la presunzione di essere un prestigioso centro medico, ma Angelo questa volta non si è messo a piangere. La professoressa Sindelar , dopo quindici minuti, già giocava con lui che rideva. Ci ha spiegato molte cose e ci ha dato le chiavi per entrare nel mondo del nostro bambino. Oggi Angelo ride, gioca, si relaziona con gli altri con una forte empatia, ma soprattutto ha iniziato a parlare, non solo per esprimere i suoi bisogni primari, ma anche per raccontare e condividere le sue piccole situazioni. Ha cinque anni e forse tra qualche anno riuscirà a essere un bambino come gli altri e a vivere un futuro in cui conoscere l’amore, la propria realizzazione, la gioia di avere una famiglia.
   

BIBLIOGRAFIA

  • Greenspan S., Wieder S., Trattare l’autismo, Cortina Editore 2007, p. 227.
  • Greenspan S., El niño con necesidades especiales, Pref. Ed española: M.T. Sindelar, Capo Press 2006.
  • Greenspan S., Wieder S., The child with special needs, Perseus Pub. New York 1998.
  • Greenspan S., Shanker: the first idea, Capo Press, 2004.
  • Minshew N.,"Autism as a disorder of complex information processing", in Mental retardation and Developmental Disabilities, 1998.
  • Sindelar M.T., "Evolucion de un caso de Autismo a partir de un Modelo basado en el desarrollo", in Revista de Asociacio Catalana d’Atencio Precoc, n. 19-20, dic. 2002.