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Insegnami, non mi etichettare. Traduzione di Francesco Print E-mail

INSEGNAMI , NON MI ETICHETTARE

Per favore, col tuo meraviglioso italiano, correggi/addatti la bozza sotta, affinche non è adatto al "pubblico italiano".
O. ha l'originale in inglese. E' una poesia stupenda, non doppiamo rovinarlo.
Grazie,
R.

 

INSEGNAMI , NON MI ETICHETTARE

"Non sono un disabile, imparo in modo diverso.

Non sono un handicappato" Apprendo ed uso delle informazioni che , in qualche modo, sono significative solo per me.

Altri potrebbero considerarmi handicappato poiché continuano ad usare metodi attraverso i quali non riesco ad imparare o insistono nel richiedermi di esibire le mie capacità nei modi che sono giusti per loro , ma che non fanno per me.

Non sono io ad essere fuori tempo, inadeguato, handicappato o disabile.

E' il sistema.

Non voglio che il mio insegnante diventi il mio compagno, ma pretendo che egli sia un esempio ed un amico.

Non voglio che il mio insegnante mi renda la vita facile, ma voglio un insegnante convinto che ciò che mi insegna valga la pena di essere imparato, e voglio un insegnante con entusiasmo che mi incoraggi ad andare avanti finché non imparo.

Non voglio essere il preferito dell'insegnante, ma voglio lo stesso essere trattato come persona che merita rispetto malgrado il mio modo di imparare o proprio a causa di esso.

Non voglio un insegnante che ha bisogno di essere lodato ma voglio uno che capisce il mio rispetto anche se lo dimostro in un modo maldestro o, a momenti, anche aggressivo.

Non voglio cambiare cervello, ma voglio imparare quanto possibile.

Non voglio una etichetta, ma una giusta educazione.

Non voglio essere definito " con difficoltà di apprendimento".

VOGLIO IMPARARE.

Insegnatemi.

Non mi etichettate .

 

 

 

Cara R. (o Root),

Ti ringrazio per i tanti complimenti che mi hai fatto e che, lo confesso, mi hanno fatto arrossire.

Ma, credimi, sono del tutto immeritati. Probabilmente ti ha indotto all'errore una ancora "non perfetta" conoscenza della lingua. Purtroppo per me, quando sarai più padrona del nostro italiano credo che il tuo giudizio nei miei confronti cambierà moltissimo.

A parte queste facezie, ho provveduto a fare quelle piccole modifiche, così come mi hai chiesto, alla tua traduzione e, mi sono permesso di farle senza usare un metro prettamente grammaticale (non ne sarei nemmeno capace) ma, usando quel po' di buon senso che serve ad adattare il linguaggio originario di un Paese quando lo si adopera presso un altro Paese. Vedi se ti piace e cambialo pure se lo credi opportuno. Come pure, sempre se lo ritieni opportuno, potrai scegliere di pubblicare questa nostra corrispondenza.

In ogni caso, credo che questa sia una poesia bellissima perché esprime un sentimento di orgoglio della propria diversità che non si sostanzia in una richiesta di accettazione pura e semplice rivolta alla Società, ma in quel qualcosa in più che è l'affermazione di una propria identità.

In poche parole, ciascuna cultura possiede specifici modelli di comportamento e noi, siamo pronti a sentirci tanto più integrati nella società quanto più sappiamo aderire a quegli schemi culturali.

Fà parte solo del nostro etnocentrismo considerare estranei gli individui provenienti da altri retroterra culturali o incapaci di adeguarsi ad essi.

A tal proposito ti voglio raccontare la storia degli Inacirema (A. Giddens, Sociologia p. 44 - Ed. Il Mulino 1995) che a me piacque moltissimo quando l'ho letta la prima volta e ancora adesso mi fa sorridere:

"All'intero sistema sembra essere sottintesa la credenza di fondo che il corpo umano è brutto e tende naturalmente alla debolezza e alla malattia. Imprigionato nel corpo, l'uomo ha soltanto la speranza di prevenire tali tendenze ricorrendo alla potente influenza dei riti e delle cerimonie. Ogni famiglia dispone di uno o più sacraridestinati a questo scopo... Il punto focale del sacrario è una cassa o tabernacolo inserito nel muro. Nel tabernacolo sono conservati molti filtri e pozioni magiche, senza i quali gli indigeni credono di non poter vincere. Questi preparati sono forniti da una serie di soggetti specializzati. I più potenti tra loro sono gli stregoni, le cui prestazioni devono essere ripagate con doni di valore. Gli stregoni, però, non preparano in prima persona le pozioni curative destinate ai clienti, ma decidono gli ingredienti da usare e li mettono per iscritto in una lingua antica e segreta. Così la prescrizione risulta comprensibile soltanto agli stregoni e agli erboristi che, in cambio di altri doni, preparano la pozione richiesta...

Gli Inacirema provano un orrore e un'attrazione quasi patologici per la bocca, le cui condizioni avrebbero un'influenza soprannaturale su tutti i rapporti sociali. Gli indigeni credono che , se non fosse per i rituali riservati alla bocca, i denti cadrebbero, le gengive sanguinerebbero, le mandibole finirebbero per rattrappirsi ed essi verrebbero abbandonati dai propri amici e respinti dai propri amanti. Essi credono anche che esista uno stretto rapporto tra caratteristiche orali ed etiche. Esiste ad esempio un'abluzione rituale della bocca prevista per i bambini che ha lo scopo di rafforzare la loro fibra morale.

Tra i rituali fisici quotidiani che tutti eseguono ce n'è uno riservato alla bocca. Sebbene questo popolo sia così puntiglioso nella cura della bocca, il rito comporta una pratica che appare rivoltante allo straniero non iniziato. Mi è stato riferito che il rituale in questione consiste nell'introdurre in bocca un piccolo ciuffo di setole di maiale con l'aggiunta di certe polveri magiche, e poi nell'agitarlo seguendo una serie altamente formalizzata di gesti. Chi sono gli Inacirema e in quale parte del mondo vivono? Sarete in grado di rispondere da soli a questa domanda e di identificare la natura dei rituali fisici descritti semplicemente leggendo al contrario la parola Inacirema. Quasi ogni attività che ci è familiare sembrerà strana se descritta fuori dal proprio contesto, invece di essere vista come parte del modo di vita complessivo di un popolo. I rituali di pulizia occidentali non sono né più né meno bizzarri dei costumi di alcune popolazioni del Pacifico i cui membri si strappano i denti frontali per rendersi più belli, o di certe tribù sudamericane che si inseriscono dei dischi all'interno delle labbra per rigonfiarle, credendo che ciò contribuisca a migliorare l'aspetto esteriore."

Ogni bambino autistico rappresenta per i membri ben integrati della nostra società un Inacirema, aiutiamoli a farsi accettare.

 

Francesco

 

 

TEACH ME: DON'T LABEL ME

>

> By Barbara K. Given, Ph.D.

>

> I am not "disabled."

> I learn differently.

> I am not "handicapped."

> I take in and use information that is somewhat unique to me.

> Others may see me as handicapped when they

> insist on teaching me in ways through which

> I cannot learn or when they insist that

> I demonstrate my abilities in ways that are

> comfortable for them but not for me.

> It is not I who is out of step, inadequate, handicapped or disabled.

> It is the system.

> I don't want my teacher to be my pal,

> but I do want a model and a friend.

> I don't want my teacher to make life easy for me,

> but I do want a teacher filled with a

> convicton that what he or she teaches is

> important enough for me to learn and

> I do want a teacher who has enthusiasm that

> encourages me to keep working until I learn.

> I don't want to be the teacher's pet, but

> I do want to be treated as a person worthy of

> respect in spite of my learning style or

> because of it.

> I don't want a teacher who demands praise, but

> I do want a teacher who understands my

> respect even if I show it in an awkward and

> sometimes hostile way.

> I don't want a brain transplant, but

> I do want to learn as much as

> I am able.

> I don't want a label, but

> I do want an appropriate education.

> I don't want to be called "learning disabled",

> but

> I do want to learn.

> Teach me.

> Don't label me.