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Il metodo SonRise Print E-mail

 

Mr. Sean Fitzgerald, Option Institute – MA, U.S.A.-

(TRADUZIONE)

Strategie innovative per l’autismo

Autismo. Disturbi generalizzati dello sviluppo (PDD). Mentre la prevalenza di questi tipi di disturbi è in continuo aumento, le nostre domande si fanno sempre più urgenti. Cosa provoca l’autismo e cosa possiamo fare per aiutare i nostri figli ai quali l’autismo è stato diagnosticato? Cercando con sempre maggiore determinazione una risposta alla prima domanda, non dimentichiamo in nessun momento l’importanza della seconda. Vogliamo così tanto aiutare i nostri figli eppure è molto facile sentirsi un po’ disorientati riguardo al modo migliore per farlo. Come possiamo aiutare dei bambini che spesso sembrano non volere l’aiuto che stiamo loro offrendo?


Vorrei qui discutere una rete di specifiche strategie e tecniche che si riferiscono proprio a questa ultima questione. Queste strategie, quando utilizzate correttamente, possono avere un impatto profondo sullo sviluppo, sulla capacità di comunicazione e l’acquisizione di abilità nei bambini diagnosticati con l’autismo o PDD. Si tratta in effetti dei principi del programma Son Rise, la modalità di trattamento insegnata presso il centro americano per il trattamento dell’autismo (Autism Treatment Center of America). Per comprendere il contesto di questi principi tuttavia è necessario conoscere la storia del programma Son Rise – una storia che incidentalmente è anche la mia.


A 18 mesi di età a Raun Kaufman fu diagnosticata una grave forma di autismo, insieme ad un quoziente intellettivo minore di 30. Completamente muto e alieno al contatto umano, Raun passava i suoi giorni impegnato in comportamenti ripetitivi (spesso definiti ‘stimming’) come lanciare piatti, dondolarsi avanti e indietro, e battere le mani davanti al viso. Non voleva essere toccato, non guardava mai le altre persone e non dava la minima risposta alle chiamate o alle richieste di chi era intorno a lui. Si trovava in ogni senso nel suo mondo.


Ai suoi genitori fu detto di non aspettarsi nessun cambiamento durante il suo sviluppo (o per meglio dire non-sviluppo). Raun non avrebbe mai parlato, non avrebbe mai avuto amici, non sarebbe mai andato a scuola, non sarebbe mai stato in grado di comunicare con gli altri in nessun modo. La sua condizione fu definita incurabile, senza speranza e senza possibilità di cambiamento. La prognosi era definitiva. Sarebbe stato un autistico per tutta la sua vita. I medici suggerirono la possibilità che venisse rinchiuso in un istituto.


In seguito a questa prognosi i genitori di Raun svilupparono un programma incentrato sul bambino e che si svolgesse in casa per cercare di raggiungerlo e facilitare il suo sviluppo. Lavorarono con lui per più di tre anni utilizzando il metodo che avevano sviluppato e che ora si definisce programma Son Rise. Il loro programma Son-Rise fece sì che Raun guarisse completamente dall’autismo senza alcuna traccia di quella che era stata la sua condizione. Si diplomò con lode, proseguì gli studi all’università laureandosi in Etica Biomedica presso la

Brown University e in seguito diresse un centro educativo per bambini in età scolare. Ora tiene conferenze a livello internazionale, scrive, insegna ed è il direttore degli outreach presso il centro americano per il trattamento dell’autismo (Autism Treatment Center of America).


Dopo la guarigione di Raun suo padre, Barry Neil Kaufman, scrisse un libro in cui raccontava dettagliatamente la sua storia. Il libro, intitolato: Son Rise il miracolo continua, venne poi raccontato anche in un programma della NBC. In seguito all’interesse della stampa e all’attenzione che seguì sia alla pubblicazione del libro che alla messa in onda del programma, i miei genitori vennero inondati da richieste di aiuto.


Quindi nel 1983 fondarono quello che è oggi conosciuto come il centro americano per il trattamento dell’autismo (Autism Treatment Center of America)(una divisione del Option Institute, un’organizzazione non-profit e caritatevole), dedicato ad aiutare i genitori e i professionisti che si prendono cura di bambini autistici, e che soffrono di disordini legati allo spettro dell’autismo, PDD e altre patologie dello sviluppo a questi connessi. In questo centro, che si trova a Sheffield, Massachussetts, teniamo una serie di corsi di una settimana. Durante questi corsi, insegniamo un sistema di trattamento ed educazione pensato per aiutare le famiglie a far sì che i propri figli possano migliorare in maniera sostanziale in tutte le aree dell’apprendimento, sviluppo, comunicazione, e acquisizione di abilità. Nel nostro lavoro con migliaia di persone che provengono da tutto il mondo, abbiamo sempre visto i risultati superare abbondantemente le prognosi.


Il fondamento del programma si basa su questa idea: i bambini ci mostrano come entrare nel loro mondo e noi mostriamo loro come uscire. Questo significa che, piuttosto che forzare i bambini a conformarsi ad un mondo che essi non capiscono, iniziamo col raggiungerli nel loro mondo prima di chiedere loro di seguirci nel nostro mondo. In questo modo creiamo una connessione e relazione reciproca – un prerequisito fondamentale per insegnare in modo proficuo ai nostri bambini. Dobbiamo tener presente che l’interazione è la prima sfida per questo gruppo di bambini ed allo stesso tempo che è il problema più citato dai genitori, ed è esattamente in questa area dove vorrebbero vedere il progresso dei loro bambini.


Quindi la nostra attenzione si focalizza in primo luogo sull’aiutare questi bambini ad interagire, mettersi in contatto e creare relazioni con gli altri. Inoltre vogliamo che questi bambini desiderino interagire e che agiscano spontaneamente piuttosto che secondo abitudini acquisite meccanicamente. Il segreto sta nel riuscire ad avere i bambini dalla nostra parte e suscitare il loro interesse in quello che stiamo cerc ando di comunicare loro. Poi potremo insegnare ai nostri bambini qualsiasi cosa vogliamo che essi apprendano con un successo, una velocità e una facilità sempre maggiori.


Quindi da dove iniziamo? Sappiamo che vogliamo incontrare i nostri bambini nel loro mondo e sappiamo che vogliamo farlo in un modo che sia tangibile e visibile per i nostri bambini. Sicuramente uno degli aspetti principali del mondo di molti di questi bambini speciali consiste in comportamenti ripetitivi auto stimolanti come lanciare oggetti, mettere in fila delle costruzioni, dondolarsi avanti ed indietro, guardare in continuazione lo stesso breve segmento di un video. Qui è dove inizia il programma Son Rise. Invece di bloccare i comportamenti ripetitivi di un bambino, noi ci uniamo a lui.


Questi bambini mettono in atto questi comportamenti per ragioni che sono importanti per loro (e come la ricerca sta dimostrando, spesso questi comportamenti hanno una funzione anche di tipo fisiologico). Noi dimostriamo di accettare e persino di essere interessati a questi comportamenti, stabilendo in questo modo un legame critico legato a questo interesse comune. Questo è molto importante perché notiamo ripetutamente che i bambini ci mostrano il loro interesse nel momento in cui noi mostriamo un interesse costante nei loro confronti. Inoltre questo interesse è spontaneo non è forzato.


Questi bambini interagiscono perché vogliono farlo.

Chi non è familiare con questa tecnica spesso obietta che unirsi ai bambini in questi comportamenti ripetitivi non farebbe altro che rafforzare i comportamenti stessi. Invece è praticamente vero il contrario. Seguirli non fa altro che stabilire, spesso per la prima volta, una vera connessione tra il bambino e il suo genitore o volontario. Vediamo ogni volta attraverso l’esperienza di migliaia di famiglie con cui lavoriamo che quando i bambini autistici o con PDD vengono ‘agganciati’ in questi comportamenti, iniziano a guardarci di più, ci prestano più attenzione e iniziano persino ad interagire con noi. E più i bambini si muovono verso un coinvolgimento sempre più profondo, più questi comportamenti ripetitivi tendono a diminuire.


Le ragioni di questo non sono in alcun modo misteriose. Solitamente ai bambini autistici e affetti da PPD viene chiesto in continuazione di smettere di fare ciò che vogliono ( i loro comportamenti ripetitivi o insoliti) e di iniziare a fare ciò che vuole qualcun altro (siediti al tavolo, gioca a questo gioco, usa il bagno, scrivi il tuo nome etc.). Poi ci stupiamo di fronte al fatto che suscitare l’interesse di questi bambini sembri una vera sfida. Ma noi siamo forse diversi? La chiave per un’interazione sociale vera e genuina è un dare ed avere tra le persone – un interesse nei confronti dei desideri e delle motivazioni uno dell’altro. Non stringiamo amicizia con chi si focalizza solo sui proprio desideri e non dimostra alcun interesse verso i nostri.


Stringiamo relazioni con quelle persone che ci mostrano i loro interessi e che allo stesso tempo sanno focalizzarsi sui nostri. Eppure quando insegniamo a bambini autistici, quei bambini per i quali l’interazione sociale è una vera sfida, utilizziamo tattiche che sono diametralmente opposte ai principi basilari dell’interazione umana. Quando decidiamo di unirci ai bambini, cerchiamo dei comportamenti che siano sia ripetitivi (cioè che si ripetono con una certa frequenza o che sono tra di loro simili) e esclusivi (che non interagiscono, che vengono messi in atto in modo da escludere gli altri). Quindi ci uniamo a nostro figlio in questo comportamento, mostrando un entusiasmo genuino, ma senza cercare di cambiare il comportamento. A questo punto aspettiamo che il bambino si metta in contatto con noi guardandoci, interrompendo il suo comportamento, parlandoci, prendendoci la mano etc.


La linea di partenza se vogliamo costruire un rapporto e un collegamento con i nostri figli – la base per qualsiasi educazione e crescita - è cominciare entrando nel loro mondo, seguendo i loro interessi, collegandoci a loro. Solo allora l’insegnamento e l’interazione sociale divengono possibili.

Alcuni benefici di questo aggregarci sono i seguenti: i nostri figli ci guarderanno di più, saranno più attenti a noi (il che rende l’apprendimento possibile), e allo stesso tempo i comportamenti aggressivi e auto-distruttivi potrebbero diminuire. Allo stesso tempo unirci ai bambini è la chiave per comprendere il mistero di questi comportamenti e facilita il contatto visivo, lo sviluppo sociale e l’inclusione di altre persone nel gioco.


Il principio chiave è facilitare l’acquisizione di capacità capitalizzando le motivazioni del bambino. Piuttosto che imporre un particolare metodo di apprendimento per ogni bambino usiamo le motivazioni di ciascun bambino come mezzo per aiutare quel bambino ad imparare e interagire. Tradizionalmente tendiamo a considerare per prima cosa ciò che noi vorremmo che il nostro bambino imparasse. Solo in un secondo tempo pensiamo a come insegnare. Nel programma Son-Rise questo processo viene ribaltato. Ci focalizziamo prima nell’individuare le aree di interesse primarie del bambino e poi di decidere cosa insegnare loro e come. In questo modo usiamo le abilità di apprendimento e gli interessi che il nostro bambino già possiede invece di cercare di insegnare in controtendenza usando un metodo che non funziona con il nostro bambino.


Per l’effettivo utilizzo di questo principio è fondamentale il riconoscere che l’apprendimento è il fattore in assoluto più importante per la crescita. Questo concetto è ben chiaro e palese in ogni area di apprendimento e non è in discussione. Sappiamo che i bambini e gli adulti, di qualsiasi livello di abilità, imparano di più e più velocemente quando sono motivati e interessati a ciò che stanno imparando. Eppure vediamo questo principio raramente applicato specialmente quando si tratta di bambini con bisogni speciali. Spesso il metodo di insegnamento e gli interessi del bambino non combaciano. Prendiamo l’esempio di un bambino che conta le arance disegnate su un foglio di carta.


Forse questo bambino preferisce le macchine o i dinosauri. La domanda è: questo bambino imparerebbe più velocemente se dovesse contare dinosauri?


Nel caso di bambini autistici e affetti da PDD le tradizionali modalità di insegnamento sarebbero raramente motivanti. Quindi dobbiamo creare un programma di studi che sia fatto su misura e che abbia una corrispondenza con le aree di maggior interesse del bambino.


Se facciamo combaciare i nostri obiettivi con le aree di motivazione di ciascun bambino ne risulterà un matrimonio altamente simbiotico ed efficace tra l’acquisizione di abilità ( interazione sociale, uso del bagno, sviluppo linguistico etc.) e una particolare area di interesse del bambino. In questo modo l’apprendimento potrà crescere in maniera esponenziale e otterremo anche un beneficio unico e sorprendente: avremo la cooperazione volontaria del bambino.


Molti genitori ci dicono che il loro bambino, dopo che gli è stato insegnata una certa abilità ripetutamente, riesce ad esprimere comportamenti rudimentali basati su questa abilità. Allo stesso tempo tuttavia spiegano che quando il bambino esprime il comportamento appare robotico, esibendo una risposta programmata. Spesso dicono che il bambino non utilizza nuovi modi di reazione spontanei (né tanto meno gioiosi) senza un’incitazione o una ricompensa. Nel nostro approccio quello che ci interessa è aiutare i bambini ad imparare quello che loro manca. Quando un bambino ha imparato qualcosa –non memorizzato, ma imparato- questa diventa una abilità che lui riesce ad usare spontaneamente.


Ancora guardiamo ai benefici di questo approccio: la capacità di apprendimento dei nostri bambini può crescere in maniera esponenziale con la loro volontaria cooperazione. I nostri bambini possono acquisire capacità critiche (interazione sociale, uso del bagno, sviluppo linguistico) facilmente senza sforzo. Inoltre i nostri bambini possono costruire le abilità necessarie per avere successo in ambienti di apprendimento tradizionali come le scuole e in normali situazioni sociali.


Questo approccio permette anche ai nostri bambini di rispondere spontaneamente, senza richiedere incitamento o ricompensa, e senza che sembrino robotici o che esibiscano una risposta programmata. Il principio da discutere è poi quello dell’insegnamento della socializzazione attraverso il gioco interattivo. Ci sono due prerequisiti per mettere in pratica efficacemente questo principio: capacità specifiche o concetti che vogliamo che i nostri bambini imparino (uso del bagno, vestirsi, leggere, fare conversazione) e il credere che i nostri bambini sono in grado di impararle. Senza questo l’efficacia di qualsiasi sforzo di insegnamento è severamente compromessa.


Ci sono un certo numero di aspetti di questo principio, alcuni dei quali toccheremo adesso brevemente. Il primo è quello che noi definiamo le tre E: energia, eccitazione e entusiasmo. Entusiasmarci sinceramente per ogni attività che stiamo svolgendo con i nostri bambini massimizza il loro impegno. Un corollario di questo è la celebrazione. Celebrare i bambini con animosità quando fanno qualcosa (non importa quanto apparentemente piccolo) è la chiave per far sì che i bambini tornino per ‘averne ancora’. Vogliamo anche incoraggiare i bambini – specialmente i nostri bambini – a essere dei bravi sperimentatori.


Questo significa non solo celebrare i nostri bambini quando portano a compimento un compito con successo o dicono una parola, ma anche celebrare i loro tentativi. “Quasi c’eri! Bel tentativo! Proviamo ancora”. Infine vogliamo dare la priorità all’interazione rispetto all’obiettivo. Non importa quanto consideriamo importante un obiettivo, l’interazione e la connessione ci porteranno in prospettiva sempre più avanti. Per un bambino è molto meno significativo riuscire a raggiungere un particolare obiettivo un giovedì piuttosto che un venerdì, ma per quello stesso bambino è molto più significativo continuare a costruire un ponte di interazione tra il suo mondo e il nostro. Quindi cerchiamo di raggiungere degli obiettivi precisi ma mai a dispetto dell’interazione e del rapporto.


I benefici di questo principio includono: focalizzare l’apprendimento sull’area in cui il nostro bambino necessita di più aiuto, stimolare nei nostri bambini il desiderio di imparare, aumentare il raggio di attenzione del nostro bambino, accrescere le capacità di apprendimento del bambino e allo stesso tempo far sì che i nostri bambini non perdano ciò che hanno imparato. Inoltre in questo modo eliminiamo dall’insegnamento le componenti di pressione e stress che normalmente sono presenti.


Un altro principio – spesso molto apprezzato da molti che vengono al centro per il trattamento dell’autismo (Autism Treatment Center of America) è di aiutare i bambini a “disimparare” i loro comportamenti che sembrano sfidarci. Molti genitori e professionisti ci dicono di avere serie difficoltà con i capricci dei loro bambini e con altri comportamenti di sfida. Ironicamente essi spesso reagiscono a questi comportamenti utilizzando modi che li rafforzano. Pensate a cosa facciamo normalmente quando i nostri bambini fanno qualcosa che noi non vorremmo facessero: “Oddio, guarda cos’è successo! Sally no! ti avevo detto di non toccarlo è molto pericoloso. Tesoro vieni a veder cosa ha fatto Sally.” Siamo agitati e facciamo una gran scena per quello che è appena successo.


Naturalmente stiamo facendo del nostro meglio ma questo ci porta veramente dove vogliamo?? O, ancora più importante, stiamo insegnando ai nostri bambini a comportarsi e comunicare in modo efficace? Questa è una domanda che vale la pena di porsi perché si trova al centro del progresso dei nostri bambini (e a volte del nostro benessere).

E cosa succede quando i nostri bambini stanno giocando felicemente e in silenzio (magari anche con i loro fratelli)? Bene in queste situazioni siamo estremamente attenti. Specialmente se questi tipi di comportamenti sono rari pensiamo il mio bambino (o bambini) sta veramente giocando silenziosamente – l’ultima cosa che voglio che succeda è fare dei rumori. Allora ci aggiriamo in punta di piedi e ci teniamo alla larga, sperando che il momento non passi. E ancora insegniamo l’opposto di quello che veramente vogliamo comunicare.


E’ importante capire che i nostri bambini non sanno necessariamente come comunicare ciò che vogliono e soprattutto non sanno farlo nello stesso modo in cui lo facciamo noi. Fanno del loro meglio per comunicarci quello che vogliono e usano le nostre reazioni come unità di misura per verificare se la loro comunicazione è efficace. Così le nostre reazioni diventano di per se stesse una forma di comunicazione. Incoraggiamo qualsiasi cosa di fronte alla quale abbiamo una forte reazione (sia che le reazioni siano di una natura gioiosa o meno). Quando gridiamo e ci lamentiamo promuoviamo quello per cui stiamo urlando. Quando applaudiamo e ci rallegriamo anche in questo momento stiamo incoraggiando la cosa che stiamo applaudendo.


Al contrario se abbiamo una reazione sotto tono non incoraggiamo un comportamento. Faremmo bene a chiederci sempre: cosa sto insegnando o promovendo con la mia reazione, e qual è il modo migliore di reagire se voglio insegnare qualcosa a mio figlio?


Possiamo se vogliamo usare le nostre reazioni di ogni giorno per insegnare ai nostri bambini dolci e facili modi di comunicare – invece dei comportamenti più aggressivi e capricciosi che magari usano normalmente. In effetti il programma Son Rise è il programma che aiuta a ridurre ed eliminare i capricci nel modo più veloce. Il punto di inizio cruciale per questo percorso è rimanere calmi e rilassati quando i nostri bambini fanno delle cose che noi non vogliamo. Potremmo leggere la frase precedente e pensare: più facile a dirlo che a farlo. Questo dipende anche dal fatto che ci è stato insegnare a credere che il modo in cui i nostri bambini si comportano è un commento a noi come genitori o insegnanti (ricordate quando si pensava che l’autismo fosse causato da madri fredde?).


Eppure questo è semplicemente falso. I nostri bambini stanno solo provando a comunicare (o non provando, dipende dai casi). Quello che fanno non significa niente, assolutamente niente, riguardo a noi. Significa solo che stanno provando a prendersi cura di loro nel modo migliore che conoscono (come noi del resto).

Quando ci crediamo veramente, allora non c’è niente di cui preoccuparsi anche quando i nostri bambini si comportano in modo difficile. Possiamo ancora tornare alla nostra domanda: qual è il modo migliore in cui reagire, se l’obiettivo è insegnare a mio figlio?


Semplicemente rallentando e abbassando i toni delle nostre reazioni a comportamenti difficili e aumentando quelli a comportamenti che vogliamo (l’opposto rispetto al modo in cui reagiamo di solito alle situazioni di ogni giorno), possiamo facilitare cambiamenti veloci e repentini. Mostrando chiaramente ai bambini, utilizzando un modo che li incoraggi, quali forme di comunicazione (ad esempio indicare o parlare piuttosto di gridare o lanciare oggetti) noi capiamo (e quindi premiandoli quando comunicano con noi in questo modo), possiamo aiutarli a comunicare efficacemente senza usare comportamenti di sfida.


La bellezza di questo approccio è che gioca a favore dell’intelligenza dei nostri bambini. Quello che abbiamo visto essere vero è che quando un modo di comunicare (un capriccio, ad esempio) cessa di essere efficace sia perché il bambino non ottiene quello che vuole e perché non causa più una reazione eccessiva, quel bambino smetterà di usare quel tipo di comportamento. Allo stesso modo quando un bambino si accorge che riesce ad ottenere quello che vuole più velocemente e suscita reazioni positive e divertenti attraverso l’uso di un modo di comunicare o di un certo comportamento (usando parole, puntando, o anche giocando dolcemente ad esempio), quel bambino diventa sempre più motivato a continuare ad utilizzare quella forma di comunicazione o a ripetere quel particolare comportamento.


I benefici che derivano dall’utilizzo di questo principio sono molti. Riusciamo a ridurre velocemente o eliminare i capricci aiutando allo stesso tempo i nostri bambini a comunicare in maniera più efficiente. Massimizziamo i tipi di comportamenti che vogliamo e minimizziamo quelli che non vogliamo. Inoltre rimuoviamo interazioni di tipo avverso. Un altro enorme beneficio è che questo tipo di approccio può insegnare e promuovere un comportamento dolce, facile con ogni bambino problematico.


Di importanza vitale è anche il luogo in cui il nostro bambino lavora/gioca.

Creando un ambiente libero da distrazioni e da controlli, possiamo ottimizzare l’apprendimento e l’interazione. Costruiamo una stanza di gioco/lavoro per un rapporto uno a uno in cui il punto focale sia sull’interazione soprattutto.

Rimuovendo la televisione e i giochi elettronici, pareti colorate, rumori forti eliminiamo molti degli ostacoli che specificatamente diminuiscono l’apprendimento e l’attenzione dei bambini autistici e con PDD che sono spesso in uno stato di sovraeccitazione nel loro ambiente. In questa stanza da gioco speciale, diamo al bambino una buona parte del controllo. E’ precisamente questo controllo che fa sì che il nostro bambino inizi a sentirsi libero di uscire dai confini del proprio mondo. Questa esperienza di controllo del proprio ambiente è un grosso contributo sulla strada dell’interazione e della fiducia. Più controllo questi bambini sperimentano, più si sentiranno in grado di mettersi in contatto con gli altri.


I benefici sono in breve: interrompiamo il ciclo di sovraeccitazione, aumentiamo la capacità di concentrazione e il raggio di attenzione del bambino, facciamo si che l’interazione uno a uno sia centrale nel processo di insegnamento e riduciamo drasticamente battaglie per il controllo che ostacolano la crescita e l’interazione. Tutto questo succede in un ambiente nel quale possiamo sentirci a nostro agio sapendo che i nostri bambini sono al sicuro. E’ anche molto importante che discutiamo dei due principi che sono il fondamento dei primi cinque descritti sopra. Il primo è che il genitore è la migliore risorsa per il bambino. Avendo lavorato con genitori e professionisti provenienti da ogni angolo del globo, abbiamo avuto l’opportunità di parlare con moltissime persone che amano profondamente e si curano dei propri figli.


Abbiamo incontrato professionisti la cui dedizione e cura per i bambini superava di gran lunga i confini del proprio lavoro, persone che hanno fatto del lavoro la propria vocazione. Ma non abbiamo visto nulla finora che possa essere paragonato alla motivazione, all’amore, alla dedizione, all’impegno di una vita che hanno i genitori di bambini speciali. Inoltre nessuno ha quel rapporto a lungo termine, quell’esperienza giornaliera con il proprio bambino che possiedono i genitori. Senza dubbio i professionisti e altri membri della famiglia possono avere un’importanza critica. Allo stesso tempo però a causa della loro posizione unica nel mondo dei loro figli, i genitori possono avere effetti positivi sulla vita dei loro figli in un modo che non è possibile a nessun altro. Quindi non solo riconosciamo ai genitori il ruolo di risorsa più importante per un bambino, ma cerchiamo di rafforzare questo ruolo a favore del bambino. Questo è il motivo per cui insegniamo loro come pensare, migliorare, e svolgere un ruolo centrale nei programmi dei loro bambini.


L’ultimo principio da discutere si focalizza su un’area che è spesso tralasciata quando si tratta di bambini autistici (o affetti da qualsiasi altro disturbo): il nostro atteggiamento. Un atteggiamento privo di giudizio e ottimistico è cruciale per l’effettiva realizzazione di ognuno dei principi esposti sopra. Cosa significa questo? Per prima cosa significa che non dobbiamo etichettare i comportamenti ripetitivi e ritualistici dei nostri figli come inappropriati, sbagliati o cattivi.


Potremmo essere tentati di considerare questo cambiamento di reazione come difficile, se non impossibile, come è stato all’idea di dover riuscire a restare calmi di fronte ad un comportamento aggressivo e di sfida,. Si ritorna ancora alla questione di cosa crediamo sarà in definitiva più utile per noi e nostro figlio.

Poiché questo principio è tanto pratico e pragmatico quanto idealistico. Spesso vediamo che i bambini autistici tendono ad allontanarsi dalle persone che percepiscono non essere a loro agio con loro o da cui si sentono giudicati e ad avvicinarsi a persone che percepiscono come sicure, divertenti. senza pregiudizi. Quindi possiamo usare il nostro atteggiamento per diventare delle calamite di interazione.


In verità possiamo andare anche più in là. Combinando questo atteggiamento privo di pregiudizi con un atteggiamento di speranza e ottimismo, possiamo portare i nostri bambini a nuove traguardi. Quando Raun venne dichiarato affetto da autismo, i suoi genitori decisero di vedere possibilità, là dove nessuno ne vedeva e fu questa prospettiva che rese possibile la sua completa guarigione. Per riuscire a compiere qualcosa dobbiamo prima credere che questa cosa può essere realizzata. Crediamo nei nostri bambini. Quando non mettiamo limiti sul futuro dei nostri bambini apriamo la porta ad una crescita senza limiti e al progresso.


La speranza è l’ingrediente vitale. Perché? Perché la speranza porta all’azione. Senza speranza non c’è azione. Ogni strategia pratica del programma Son Rise che è stata spiegata è basata sull’azione. Ciascun bambino autistico nel mondo che viene aiutato da qualcuno è aiutato tramite l’azione. Sebbene non possiamo sapere quello che ciascun singolo bambino sarà in grado di realizzare, non dobbiamo decidere in anticipo quello che un bambino non sarà in grado di realizzare. Diamo ai nostri bambini una possibilità. Solo se facciamo questo, avremo dato ai nostri bambini il più grande regalo che mai avremmo potuto far loro.


Grazie di cuore a Silvia per la traduzione