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Comunicazione Facilitata Stampa E-mail

IL CONCETTO DI FACILITAZIONE: DA “COMUNICAZIONE FACILITATA” A “W.O.C.E.”

Nel 1994, un piccolo numero di pionieri iniziava ad applicare in Italia la strategia denominata Comunicazione Facilitata.
Acriticamente, e stupefatti dai risultati che stavamo ottenendo, cercavamo il confronto tra  noi per cercare di capire cosa stessimo mettendo in atto. Iniziavamo a porci le prime domande: ci chiedevamo che significato avesse il gesto di “facilitazione” inteso come supporto fisico all’arto della persona, ma anche contatto emozionale, empatico.  Come spesso accade, siamo partiti dalla nostra pratica quotidiana per andare alla ricerca di un costrutto teorico in grado di spiegarci i meccanismi per cui quella strategia di intervento stava di fatto funzionando.
Aprassia, disprassia, ansia da esposizione e da prestazione, disturbo della funzione esecutiva, sono termini legati al disturbo delle persone che stiamo facilitando, ma non sufficienti di per sé a spiegare il percorso di Comunicazione Facilitata.

Tra il 1994 e il 2000 la Comunicazione Facilitata è stata pesantemente attaccata, criticata e scartata dai vari professionisti nel settore dell’Autismo.
Sfortunatamente le teorie e le pratiche “consolidate” sono spesso il baluardo inespugnabile di chi non accetta il nuovo, di chi non vuole mettersi in gioco, di coloro che ritengono le persone immodificabili, inquadrate nel loro deficit di funzionamento.
E, infatti, in questi anni nessuno di coloro che si è scagliato contro la Comunicazione Facilitata si è fatto avanti e ci ha contattato per cercare di capire in prima persona, per osservare il nostro lavoro e magari anche criticarlo, ma con cognizione di causa. Due sono le frasi lapidarie dietro cui si sono nascosti i detrattori, i critici: “ è il facilitatore che scrive” e “la comunicazione facilitata non ha validazione scientifica”.

Noi abbiamo continuato a lavorare, ma cercando un modo più sistematico di procedere, raccogliendo dati e presentandoli durante seminari e convegni. Abbiamo anche necessariamente coordinato il nostro modo di lavorare, costruendo e pubblicando delle Linee Guida per un intervento professionale.  Intanto il fenomeno “Comunicazione Facilitata”, scambiato per un atto miracolistico dal pubblico in generale, stava espandendosi a dismisura, molto spesso in mano a persone prive di formazione specifica e del tutto ignare di Linee Guida da seguire.

Molti cosiddetti facilitatori hanno  semplicisticamente ridotto  il percorso di facilitazione della comunicazione ad un  sostegno fisico alla  mano o al polso della persona da facilitare, immobili nei presunti risultati conseguiti, senza porsi domande sui “come” e i “perché” di quella comunicazione scritta e, nel concentrare l’attenzione sugli scritti prodotti, hanno “fenomenizzato” la persona così facilitata.
Ovunque, ma molto spesso in ambito scolastico, qualcuno sta facilitando gridando al miracolo. Senza alcuna preparazione specifica circa la strategia di intervento, senza gradualità di lavoro, fornendo un massiccio sostegno fisico, a volte anche manipolando la persona “facilitata”. Come se la tastiera producesse un miracolo. Come se il processo di comunicazione non fosse appunto un processo di costruzione di segni e segnali condivisibili, che, nella normalità, il bambino costruisce a partire da un sistema neurologicamente intatto.  Si è dato per scontato che la comunicazione, quella normale, semanticamente e sintatticamente composta, fatta di condivisione di significati e apprendendo formalmente delle regole, fosse semplicemente prigioniera di un corpo inabilitato ad esprimerla.

Inoltre, un facilitatore inesperto compie errori tipici anche nell’interazione su tastiera. Non è affatto semplice dialogare con una persona non avvezza a comunicare convenzionalmente. Senza una guida esperta il facilitatore alle prime armi davvero non sa come proporre le domande senza guidare le risposte, non sa come facilitare l’espressione difficoltosa in modo neutrale, senza interferire, senza interpretare  pur correggendo, magari semplificando la domanda nel cercare l’approfondimento della risposta.
L’inesperienza porta ad ignorare  fattori fondamentali rappresentati spesso dalla diversa lettura della realtà: è assai probabile che molte relazioni di causa/effetto, per noi scontate, siano sfuggite alla piena comprensione della persona priva di comunicazione. Comunicare diventa quindi uno degli strumenti essenziali con cui la persona facilitata può ricostruire cognitivamente delle esperienze mancate o distorte. È anche opportuno chiedersi  come  vengano interpretati i  messaggi sociali, appresi dal bambino normodotato lungo il suo percorso di crescita  grazie alla mediazione con l’adulto.
Da tutto ciò risulta che  insegnare a comunicare, in questo caso servendosi di strategie di facilitazione, non è compito semplice e richiede  competenza, gradualità,  sensibilità, conoscenze specifiche.

Tutte queste considerazioni, e la necessità di proteggere il nostro lavoro ma soprattutto i risultati di molti utenti che seguiamo, ci hanno spinto a registrare il nome “Comunicazione Facilitata” presso il Ministero.  Differenziare una buona prassi da una cattiva prassi era però il massimo che potessimo fare in una situazione che stava sfuggendo al controllo.

 

Nel frattempo il dibattito circa la validità dei risultati ottenuti con questa strategia è rimasto aperto.  L’attenzione un po’ superficiale dei vari critici  è rimasta concentrata erroneamente sul “facilitatore”, cioè sulla persona che fornisce facilitazione. Tralasciando però di osservare, studiare e valutare la persona facilitata, la dinamica dei processi da essa messi in atto, l’efficacia dell’intervento sui comportamenti congrui.

Questa diversa angolazione è invece la base del nostro lavoro, oltre ovviamente la formazione accurata di coloro che faciliteranno.
Chi è la persona che ha bisogno di facilitazione della comunicazione? Perché ne ha bisogno? Quali sono le sue caratteristiche che di fatto impediscono non solo una comunicazione verbale efficace, ma anche e soprattutto l’organizzazione spontanea di comunicazione scritta?  Quali canali alternativi di comunicazione ha sviluppato questa persona? Come li utilizza?

 

E inoltre, se il gesto  di facilitazione serve per riabilitare un atto motorio finalizzato ed intenzionale quale l’indicazione, in quanto tempo e con quali strategie la persona consegue la completa autonomia nell’indicare?  Infine, quali processi e strategie mettiamo noi in atto per stimolare e sviluppare autonomia di pensiero, metalinguaggio e metacognizione?  Il contatto fisico è evidentemente solo uno degli interventi di facilitazione dei processi cognitivi e relazionali.

Isabelle Rapin, dell’Albert Einstein College of Medicine ribadisce nelle sue pubblicazioni che l’accesso alla letto-scrittura attraverso Tavole di Comunicazione e Computer nei bambini con DGS e disturbo della comunicazione dovrebbe essere impostato precocemente per ovviare a potenziali successivi disturbi del comportamento.
La Rivista “Mental Retardation” – Ottobre 2002, Volume 40 – no. 5, alle pagg. 347-357 conclude che la verifica più ovvia circa l’autorevolezza della comunicazione di una persona che utilizza facilitazione è l’indipendenza di colui che scrive dall’intervento del facilitatore.  Possiamo affermare che in Italia molte persone da noi seguite, con l’aiuto di pratiche evolutesi dalla Comunicazione Facilitata, sono ora in grado di comunicare anche autonomamente.

Inoltre, è ormai consolidato che gli studi quantitativi da soli non portano ad una validazione della Comunicazione Facilitata, mentre esistono studi qualitativi che indicano come diversi bambini ed adulti con DGS hanno sviluppato abilità di comunicazione autonoma attraverso un training di Comunicazione Facilitata impostato da noi.

Quindi oggi affermiamo che la Comunicazione Facilitata è cambiata rispetto al nostro pionieristico procedere iniziale e, se per comunicare è necessario “imparare a comunicare”, siamo ora in grado di utilizzare diverse strategie di intervento  “insegnando a comunicare”, in una  prospettiva di sviluppo cognitivo e relazionale graduale della comunicazione e del comunicante.

Il nostro modello di intervento e i risultati di autonomia conseguiti nulla più hanno  a che vedere con tante pretese di “Comunicazione Facilitata” osservabili in giro per l’Italia o internazionalmente. È quindi necessario da parte nostra un passo successivo per differenziare ulteriormente il nostro lavoro.  In tal senso abbiamo nel frattempo registrato un nuovo nome che gradualmente sostituirà il vecchio caro nome “Comunicazione Facilitata”: si tratta di W.O.C.E.  Written Output Communication Enhancement.

“Da Comunicazione Facilitata a W.O.C.E.”
L’acronimo inglese WOCE sta per Written Output Communication Enhancement che può tradursi in “Scrittura per lo Sviluppo della Comunicazione”.
Concetto base della strategia di intervento è che chi ne beneficia svolge un training di apprendimento per lo sviluppo di:

  1. abilità sottese all’acquisizione del processo comunicativo
  2. modalità simboliche e non simboliche della comunicazione
  3. abilità di scrittura quale modalità di comunicazione alternativa al linguaggio verbale.

Ciò implica un training per l’acquisizione delle abilità di indicazione intenzionale (e non automatizzata), finalizzata anche alla comunicazione, di riabilitazione della programmazione dell’atto motorio volontario e dell’uso del gesto indicativo (pointing) quale modalità di condivisione alla radice dello scambio comunicativo.
Aggiungiamo e sottolineiamo che attraverso questo percorso viene supportato anche lo sviluppo di un linguaggio verbale deficitario.
Inoltre è bene ricordare che nella sua applicazione la strategia WOCE include nel progetto globale l’uso di strumenti/strategie di stimolazione della comunicazione che, a seconda dei contesti e/o delle abilità del soggetto, possono di volta in volta risultare efficaci.

L’evoluzione della CF in WOCE porta quindi a  differenze teoriche e pratiche già nella primissima fase della valutazione del percorso, documentato nella sua progressione con strumenti validati e con videofilmati.

1 – La persona con disabilità della comunicazione è l’attore principale dell’intervento: intorno ad essa si tesse una trama di interventi calibrati sulle potenzialità e per minimizzare le difficoltà.

2 -     Si stabilisce il concetto “da facilitazioni a facilitazioni minime o nulle”.

3  -   Il monitoraggio del progetto non è un’opzione ma un diritto/dovere di chi intraprende il percorso.

4  -  L’applicazione della strategia WOCE da parte del Centro di Roma e del Centro Studi di Zoagli, è monitorata  dal Laboratorio di Epidemiologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

Con la decisione di prendere le distanze da una pratica di Comunicazione Facilitata in cui non ci riconosciamo più,  nulla rinneghiamo  del lavoro svolto in tutti questi anni: abbiamo imparato tanto, e ringraziamo di ciò proprio le persone che negli anni abbiamo facilitato, perché sono  loro che, per prime, hanno insegnato a noi. Semmai il nostro intento è oggi rivalutare il lavoro svolto alla luce di nuove scoperte (mirror neurons), di nuove conoscenze (il cervello emotivo), di un approccio neuropsicologico che si avvale di più strumenti da offrire alle persone con disturbo della comunicazione e DGS.

Siamo enormemente grati ai Docenti e ai Ricercatori dell’Università di Padova che con il loro interesse innanzitutto e con l’accuratezza del lavoro di ricerca condotto ci permettono finalmente di affermare “scientificamente” che le persone inserite nel Progetto EASIEST dai quattro Centri coinvolti nella ricerca comunicano e hanno autonomia di pensiero.
Per quanto mi riguarda personalmente l’esito della ricerca ripaga abbondantemente 15 anni della mia vita dedicati ad una causa apparentemente impossibile.

**Il Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata- W.O.C.E. di Zoagli, è responsabile dei progetti di comunicazione in Liguria, Lombardia, Toscana, Piemonte. Ad esso è strettamente collegato l’ottimo lavoro dell’ASL di Piacenza (D.ssa Francesca Caltagirone, NPI).

***Il Centro Studi e Ricerca in Neuroriabilitazione CNAPP di Roma, è responsabile dei progetti nel Lazio, Abruzzo, Salerno, Bibbiena, Umbria.

****L’Istituto M.P.P. dei Padri Trinitari A. Quarto di Palo di Andria (Bari)  è responsabile dei progetti di comunicazione sul territorio Pugliese

*****Il Centro Sperimentale per i Disturbi dello Sviluppo e della Comunicazione di Padova è Responsabile di Progetti di Comunicazione nella Regione Veneto e in Trentino e Friuli

Gli utenti seguiti complessivamente con un approccio di Comunicazione Facilitata/WOCE, condotto  secondo standard di qualità condivisi da parte dei i quattro Centri sono oggi 460.

I bambini e ragazzi che seguiamo hanno prevalentemente diagnosi di Disturbo Generalizzato dello Sviluppo – Sindrome Autistica – Autismo – Sindromi genetiche varie con deficit linguistico– ADHD – Disprassia – Disarmonia Evolutiva – Tetraparesi Spastica –Sindrome di Down. Il tratto clinico che accomuna inizialmente tutti i soggetti è l’incompetenza espressiva verbale e scritta.

Per ammissione stessa del Prof. Biklen, Rettore dell’Università di Syracuse, è impossibile quantificare il numero di persone che negli Stati Uniti praticano Facilitated Communication. Sulla scia del lavoro svolto in Italia, il Facilitated Communication Institute dell’Università di Syracuse sta cercando di circoscrivere alcuni gruppi di lavoro che offrono un approccio di qualità ma, nel suo complesso, il fenomeno negli Stati Uniti è fuori controllo.

In Australia gli utenti di Comunicazione Aumentativa e Alternativa e Comunicazione Facilitata confluiscono in due Centri; il più noto è lo storico Deal Institute di Rosemary Crossley, ma non risulta siano mai stati forniti dati quantitativi e qualitativi.

In Europa si è costituito un gruppo di lavoro tra noi e alcuni centri (in Germania, Svizzera, Inghilterra), con i quali abbiamo raggiunto affinità di impostazione teorica e pratica. Non sono ancora disponibili dati quantitativi e qualitativi relativi ai diversi Paesi, ma stiamo lavorando in questa direzione.

                                                                                  Patrizia Cadei
                                                           Centro Studi sulla Comunicazione Facilitata
                                                                                     W.O.C.E.
                                                                                    Zoagli (Ge)
26 Marzo 2007

** Patrizia Cadei – Bjorn Giordano – Elisa Firpo – Antonella Tosetti – Maria Luisa Zocchi – Gabriella Pittzò – Simona Donzelli – Roberta Cialdi.
*** Francesca Benassi – Marzia Panella – Laura Nunberg – Emanuela Soverchia
**** Teresa Calvario – Mario Damiani –
***** Vittoria Cristoferi – Lisa Molon – Paola Orvieto

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Kelso, J.A.S., & Tuller, B. (1981). Toward a theory of apractic syndromes.

 



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tratto da http://us.geocities.com/centrostudi.geo/index.html