Una storia tratta dal web-magazine Libera Agorà |
Vi passo questa storia italiana che ho tovato girando in Internet. Chi scrive è una Signora siciliana che ha seguito per il suo bimbo il percorso della dieta SGSC (iniziando nel 1999) e in molti passaggi ricorda le storie di tanti di noi.. Segnalo al Dr Borghese, nella prima lettera, il passaggio in cui si dice del fratellino balbuziente (vedi la recente dissertazione e anche quanto ci eravamo personalmente detti a Milano la scorsa settimana) O., sarebbe interessante contattare questa signora, no? (se già non la conosci) Nicola
Svegliati, papà svegliati! Metti nuovo gioco playstation! E' Edoardo che dietro mio suggerimento sale in camera a svegliare mio marito. Non è incredibile? Edoardo che chiama il suo papà! Edoardo che desidera giocare! Edoardo è un bambino autistico. Al nostro secondogenito di sei anni è stata diagnosticata tre anni fa una sindrome comportamentale di tipo autistico, benché ce ne fossimo accorti almeno un anno prima. Alla nascita appariva come un qualsiasi altro neonato, roseo e paffutello e con degli occhioni neri e spalancati sul mondo, curioso di ciò che lo circondava. Il suo sano appetito faceva sì che crescesse di ben 1800 gr. al mese, così nel giorno del suo battesimo, 2 mesi e venti giorni dopo, pesava già otto chili e più. Era un bambolotto dentro la vestina di seta e merletti appartenuta al fratellino maggiore, al papà e prima ancora allo zio, e ricevette il sacramento del battesimo senza scomporsi troppo. Forse avremmo dovuto cominciare a dubitare della sua compostezza, della sua tranquillità - il nostro piccolo mangiava e dormiva a differenza del fratello che mostrava un temperamento più rumoroso e meno accondiscendente - e fummo felici di avere con il secondogenito l'opportunità di crescere un neonato "più buono". Già, più buono! Come guardo con sospetto adesso i neonati buoni! Come diffido adesso delle madri esasperate da figli troppo vivaci! Come è cambiata la nostra visione della cose e il nostro modo di pensare in proposito! Crescere due bambini da sola era piuttosto impegnativo, ma il lavoro di Maurizio gli imponeva di doversi assentare da casa anche per molti periodi, ma fortunatamente alla nascita di Edoardo poté ritornare a riprendere servizio a Catania. Da quel momento, i periodi di distacco dalla famiglia si sono ridotti a poche settimane all'anno. Fortunatamente, perché diciotto mesi dopo iniziava il calvario che ci avrebbe condotto da un medico all'altro, da un ospedale all'atro, da un'analisi all'altra, incessantemente e disperatamente. Completamente in balia dei medici che non avevano il coraggio di pronunciare la parola "autismo", avemmo l'elenco dei maggiori centri di riabilitazione da una neuropsichiatra infantile, e così iniziammo a telefonare per mettere nostro figlio in lista d'attesa. La risposta non tardò ad arrivare e dopo tre mesi un grosso centro di riabilitazione della nostra città ci convocò per la visita preliminare al piccolo Edoardo di ormai tre anni compiuti e in piena gravità nella sua malattia. Era il giugno 1996, ma le sedute tardarono ad iniziare, forse per eccesso di zelo di un neurologo che metteva in dubbio la gravità della malattia che negava a mio figlio il diritto ad un'infanzia serena così come per i suoi coetanei. Ricordo ancora che mi accusò di volermi approfittare dell'Unità Sanitaria Nazionale chiedendo delle prestazioni non giustificate all'U.S.L.. Ricordo altresì la sensazione fortissima che mi provocava un moto di ripulsa nei confronti di quel medico che di autismo probabilmente non aveva mai sentito parlare. Così come richiesto dal neurologo dell' U.S.L., facemmo ad Edoardo un'ulteriore piccola tortura, la visita audiometria: di per sé niente di doloroso se a tuo figlio puoi spiegare di che si tratta, ma che assume i contorni tragici se a farla è un bambino le cui percezioni sensoriali sono completamente distorte. I primi di agosto iniziammo così le sedute di logopedia e psicomotricità. Le terapiste mi apparvero molto sicure di sé e mi chiesero perentoriamente di togliere il pannolino al bambino. Edoardo aveva già tre anni e tre mesi, ed io ero spaventata da questa tappa che peraltro con Davide mi sembrò così naturale e semplice da percorrere. Fu una vera lotta ma dopo tre mesi di segregazione nella stanza da bagno uscimmo vittoriosi. Ogni giorno, per quaranta minuti conducevo il piccolino lottando contro le mille difficoltà cui un genitore di un soggetto autistico è costretto a fare i conti: le scarpe, il giubbotto, il cappello di lana,i guantini. Ogni cosa per lui rappresentava fonte di grave malessere e mal sopportava le comuni regole del vivere in società. Malgrado tutto, la terapia al centro ci sembrò l'unica alternativa per poter riabilitare nostro figlio. Nella più fornita libreria della città cercammo risposta alla nostra sete di sapere circa la malattia che si stava così tenacemente impadronendo delle nostre quattro esistenze; anche Davide ha risentito negativamente dell'atmosfera dolorosa che si respirò in casa nostra da quel momento, poiché se da un canto le sedute terapeutiche aiutarono molto sia noi che il nostro bambino, dall'altro lo stress per giungere puntuali tutti i giorni alle 8.40 all'altro capo della città provocarono nel maggiore uno stato di nervosismo con conseguente balbuzie. Spesso gli atteggiamenti ostili delle persone, degli insegnanti all'asilo, o qualsiasi altro evento esterno ci conducevano a ripetute sedute di psicoterapia con la psicologa del centro, ma non sempre esse sortivano il risultato sperato. Nel frattempo, i progressi di Edoardo erano lenti e la politica del centro di riabilitazione sconsigliava i genitori di informarsi con libri e letture eruditive di qualsiasi genere, ma impietosita forse dalle nostre incessanti richieste la logopedista un giorno mi diede un articolo su una signora autistica che riuscì perfino a laurearsi: il suo nome era Donna Williams, e come lei Temple Grandin. Quello che abbiamo imparato da queste fotocopie era davvero entusiasmante perché finalmente potevamo comprendere ciò che provava il nostro piccolo quando si trovava in spazi aperti fra tanta gente, o la sensazione di oppressione causata da un giubbotto imbottito, o il dolore nel bere un bicchiere di acqua gassata. Così iniziammo a leggere i libri delle due donne "guarite" quasi completamente e ne leggemmo su Frith, Zappella, Delacato e molti altri ancora. Purtroppo non riuscivo a frenare l'entusiasmo e correvo a raccontare ogni mia scoperta alla terapista di turno che mi scoraggiava asserendo che non voleva che mi facessi del male e che per il mio bene e quello del mio bambino avrei dovuto smettere quelle insane letture! Fra gli specialisti in Italia pensammo di andare a Siena dal Prof. Zappella, ma dopo due viaggi desistemmo dal continuare poiché non ci fu detto nulla di nuovo, anzi ci fu confermato che a Catania gli specialisti erano adeguati alla gravità del nostro problema. Di seguito sapemmo di un'associazione di genitori di bimbi autistici, e così ne facemmo parte anche noi: il 3 dicembre del 1998 nacque a Catania l'ANGSA Sicilia, che ci portò a conoscenza della altre famiglie con il medesimo problema. Grazie a loro mio figlio ha potuto usufruire del privilegio di poter fare un'analisi in Inghilterra grazie alla quale si è scoperta una intolleranza alimentare al glutine e alla caseina. Iniziare la dieta non è stato facile, ma la nostra buona volontà è ripagata dalla grande disponibilità che ci dimostra il nostro piccolo e dai progressi quotidiani che ne scaturiscono. Ricchi di nuove speranze, abbiamo deciso - ben consigliati dal presidente dell'ANGSA - di partire per Sorrento dove l'équipe dell'associazione Delacato ha visitato Edoardo e ci ha fornito la terapia da fare noi stessi in casa al bambino. Tutto questo è molto gratificante per noi e per nostro figlio che con suo padre ha uno splendido rapporto e che cerca sempre per lavorare. Naturalmente ci è sembrato ovvio dimettere il piccolo dal centro di riabilitazione, anche se da parte mia questa decisione è stata più travagliata rispetto a mio marito: Tuttavia non mi pento di ciò che abbiamo fatto e, sebbene tempestivi nella diagnosi, è pur vero che almeno diciotto mesi da quella che avrebbe potuto essere la data di diagnosi sono stati perduti in analisi e mere ricerche da parte dei medici che devono compiere il proprio dovere, quello della medicina ufficiale. In questa malattia ogni singolo giorno, ogni settimana di tempo sono determinanti per porre freno e rimedio, e spesso ci si trova a dover lottare contro la burocrazia, la mancanza di strutture, contro i medici e gli operatori del settore. I genitori risoluti e determinati nella guarigione del proprio figlio pagano il prezzo della solitudine, della fatica e del lavoro fatto di ricerche su internet la sera tardi, quando la casa dorme e il silenzio domina incontrastato, a costo di rimanere soli e senza quelle amicizie che se ne vanno perché non comprendono, senza quei parenti che dispensano buoni consigli, e senza quanti ti consigliano di pregare di più o che sdrammatizzano la loro paura sentenziando che presto Edoardo si sbloccherà. E' dura procedere soli per la propria strada, incuranti delle calunnie giustificate dal bizzarro e perfino snob comportamento che gli altri ti riconoscono; è faticoso discolparsi per il poco tempo rubato alla malattia, tempo che non possiamo dedicare a nessuno fuori da queste mura. Ma è tanto gratificante ritrovare la luce negli occhi di Edoardo, e un lampo di gioia quando capisce d'essere compreso, quando la domenica mattina gli chiedo di svegliare il suo papà, e correndo sulle scale, gli sento dire: SVEGLIATI, PAPA'. Silvana Ballistreri Cusenza Un anno di dieta Sembra una eternità, invece è passato un anno da quando - come colpiti da una folgorazione - decidemmo di percorrere il cammino della medicina sperimentale e della ricerca "fai da te". Silvana Ballistreri Cusenza Il mio Angelo Ferito Qualche giorno fa sono riuscita a riappropriarmi del computer dopo tanto tempo, perché il suo uso è diventato oggetto di contesa nella nostra famiglia, e fu così che cliccando fra le pagine dei documenti ho appreso casualmente di un convegno intitolato "Il mio Angelo Ferito" la cui locandina raffigurava una scena nella quale un angelo bianco e bendato, con un'ala sanguinante, veniva condotto di peso da due giovani, poiché egli era, come ho già detto, malato; mai un'accoppiata risultò tanto appropriata e vincente - il bambino autistico e l'angelo ferito - ma se dapprima tale seppur struggentissimo quadro evoca nella mia anima sensazioni di incolmabile vuoto e sconfinato dolore, in seguito mi insegna che è proprio dalla cenere che la fenice rinasce a nuova vita, più bella e forte della precedente. Gettando uno sguardo sull'angelo che mi è stato fatto dono di conoscere su questa terra, io posso affermare con sicurezza che il mio angioletto non è più ferito, la benda che celava i suoi occhi è scivolata, la sua bocca può pronunciare parole, frasi e canzoni sempre più lunghe. Con i suoi grandi occhi indagatori finalmente ha imparato a leggere, scrivere e a far di conto come molti altri piccoli angeli della sua età, e la ferita sulla sua piccola ala si sta rimarginando ogni giorno di più, mentre egli gioca, va a scuola o semplicemente riposa, grazie alla fiducia che i suoi genitori e le persone a lui care hanno riposto in un metodo, una cura, una persona, una dieta, in sé stesse, sempre e sopra tutto, in Edoardo Angelo ferito pronto alla soglia dei dieci anni a spiccare il volo con le sue forti ali, con i suoi grandi occhi, e con i suoi cinque sensi desiderosi di ascoltare dolci melodie ed allegri ritornelli, in cambio di promesse di torte al cioccolato e gelati e caramelle. Il mio Angelo non è più ferito perché adesso può guardarsi intorno e risponde con sicurezza e in maniera affermativa alla proposta di trascorrere una sera al teatro a guardare la tale commedia , e ci permette occasionalmente di andare tutti insieme in pizzeria dove abbiamo prenotato la sua pizza senza glutine, ma se lo desidera possiamo portarlo al multisala a guardare i films di animazione e a gustare un secchiello di pop corn. Nel dipinto di Hugo Simberg si nota chiaramente lo stato di prostrazione nel quale versa l'angelo che si affida totalmente alle cure di quei due giovanetti che lo trasportano di peso affinché possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Nella vita reale i due giovanetti rappresentano tutte quelle persone che realmente si adoperano quotidianamente per prendersi cura di un bambino che altrimenti sarebbe condannato all'isolamento e ad una fine sicura. E quei portantini siamo noi, i suoi genitori, che hanno accettato nel bene e nel male il peso di questo fardello, ed essi sono i fratelli e le sorelle dell'angelo ferito, che con la loro quotidiana presenza rassicurano e sostengono l'angioletto infermo, ma sono anche gli amici e i parenti più prossimi, i compagni di scuola e le insegnanti che imparano a volergli bene senza aspettarsi nulla in cambio, ma raffigurano anche quei medici discreti che riescono a curare certe ferite in maniera né invasiva né traumatica. Angelo ferito, bimbo risoluto e capriccioso, scuoti il capo e te ne vai per la tua strada ignaro dei perigli che si celano dietro l'angolo, quanti angeli custodi vegliano il tuo operato, quanti cherubini guidano i tuoi passi e muovono la tua mano.... Angelo ferito, imponiti la vittoria, pretendi di sconfiggere il male ed aiutaci a portare a compimento questo duro compito terreno, affinché il tuo ed il nostro lavoro sia motivo di emulazione per altri genitori e non causa di invidia e che infine sia ricompensato, se non in questa vita, almeno nell'altra. Silvana Ballistreri
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