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L'approccio psicoeducativo TEACCH Print E-mail

CARATTERISTICHE GENERALI E SPECIFICI PUNTI DI FORZA UTILIZZABILI IN UN AMBITO SCOLASTICO INTEGRATO

di Dario Ianes (Centro Studi Erickson e Università di Trento)

Il compito dell’educazione, nell’autismo come in altre situazioni, è quello di incoraggiare il bambino a sviluppare sempre nuove abilità per vivere e conoscere il mondo, per migliorare il suo grado di «attività personali» e di «partecipazione sociale» (ICF – International Classification of Functioning, Disability and Health, OMS, Erickson, 2002).

Si può quindi parlare, nel trattamento dell’autismo, di «approccio psicoeducativo». La conoscenza e l’accurata valutazione delle risorse e dei deficit di una persona e delle caratteristiche del suo ambiente di vita forniscono la base necessaria a un trattamento che fa leva da una parte sulle sue possibilità di apprendere nuove abilità, dall’altra sulle possibilità dell’ambiente di modificarsi per adattarsi alle caratteristiche della persona.

Così, ogni intervento nei confronti del bambino autistico è in realtà educazione: incremento di abilità del bambino, educazione dei genitori a utilizzarle e promuoverle, apprendimento da parte degli esperti dei nuovi dati generali derivati dall’esperienza con questo singolo bambino, educazione della scuola o del centro diurno a vivere con il bambino.

L’approccio che viene comunemente definito TEACCH, creato, ormai trent’anni fa, come strutturazione globale dei servizi per l’autismo da Eric Schopler nella Carolina del Nord, si basa su alcune caratteristiche generali.

Globalità, durata e individualizzazione dell’intervento: i deficit interpersonali, comunicativi e cognitivi del bambino richiedono un intervento che offra i significati che da solo il bambino non è in grado di organizzare; il fatto che il disturbo, pur migliorando, duri tutta la vita, richiede un’offerta di servizi per l’intero ciclo di vita e di educare il bambino di oggi alle necessità dell’uomo di domani; il fatto che ogni persona con autismo sia diversa dall’altra come caratteristiche e punti di forza impone un’estrema individualizzazione dell’intervento.

Collaborazione con le famiglie: secondo Schopler, i genitori sono i migliori esperti del loro bambino (Schopler E., Autismo in famiglia, Erickson, 1998); essi sono capaci di individuare per lui le priorità e scoprire forme di educazione efficaci. Gli operatori professionali e gli insegnanti, d’altro canto, sono esperti di bambini in generale, di autismo e di trattamenti educativi. I migliori risultati quindi provengono da un’efficace collaborazione tra i due tipi di esperti. La collaborazione tra genitori e operatori è inoltre fonte di reciproco sostegno, necessario quando il lavoro e la vita hanno caratteristiche di impegno gravoso, come nell’autismo, e quando serve esercitare un’adeguata pressione presso le amministrazioni per ottenere servizi migliori.

Obiettivo generale è lo sviluppo di abilità: nel bambino, nel genitore, ma anche nelle persone che costituiscono l’ambiente di quel bambino e di quella famiglia, e nell’operatore che ha il compito di aiutarli. L’incremento di abilità, così inteso, porta al miglioramento della qualità della vita, permette il miglior adattamento possibile, da un lato insegnando al bambino abilità adattive, e dall’altro adattando l’ambiente alle necessità del bambino.

Personalizzazione. L’approccio TEACCH non ci impone un percorso rigido da applicare tappa per tappa a tutti i bambini con autismo. Ci mostra modi e strumenti per individuare priorità, obiettivi, punti di forza e stili di apprendimento tipici di un singolo bambino, così come priorità e punti di forza di una singola famiglia; modi e strumenti per insegnare a quel specifico bambino aggirando le sue difficoltà.

Flessibilità. Questi modi e strumenti non sono definiti una volta per tutte, ma si modificano in base all’esperienza, ai risultati della ricerca, alle buone idee formulate da operatori e genitori. Le modalità tecniche vanno messe al servizio del progetto, che è il miglioramento della qualità della vita.

Principio di autonomia e uso spontaneo delle abilità. Il punto di equilibrio tra l’incremento delle abilità del bambino e il cambiamento necessario dell’ambiente è l’esercizio indipendente e spontaneo, cioè senza guida o aiuto, delle abilità possedute. Tale punto di equilibrio è la base per successivi passi in avanti. Gli sforzi di educatori, terapisti e genitori non sono quindi limitati all’insegnamento di nuove abilità, ma concentrati anche sulla facilitazione dell’uso indipendente, utile, significativo, il più possibile flessibile e spontaneo delle abilità possedute.

Valutazione continua delle capacità del bambino. È necessaria una valutazione sistematica delle abilità del bambino, attraverso la quale si definisce il suo profilo di sviluppo in aree essenziali: imitazione, percezione, motricità globale, motricità fine, coordinazione occhio-mano, performance cognitiva, performance cognitivo-verbale ; e la valutazione formale dei comportamenti autistici, in cui si valuta la presenza di comportamenti devianti nelle aree: sensoriale, affettivo-relazionale, uso degli oggetti e del materiale, linguaggio.

Programmazione concreta. Gli obiettivi che si sono definiti sulla base delle valutazioni non saranno finalità astratte di sviluppo ma abilità che saranno concretamente utili al bambino nel suo ambiente e che saranno utili alla vita dell’uomo autistico di domani; abilità cioè che la persona potrà esercitare in modo indipendente. Compiti semplici, necessari, utili, nelle aree fondamentali dell’autonomia, della comunicazione, del lavoro, del tempo libero. Concentrarsi su obiettivi in aree tradizionali dello sviluppo infantile è utile solo se questo può contribuire all’uso indipendente di un’abilità con significato e rilevanza funzionale, cioè concretamente utile nell’ambiente di vita della persona. Per esempio: prima di dedicarsi all’abilità emergente «Copiare le lettere maiuscole», conviene dedicarsi all’apprendimento dell’abilità emergente «Chiedere aiuto con un gesto», data la maggiore rilevanza funzionale del secondo obiettivo in molti contesti di vita del bambino. È importante qui tener conto delle priorità dei genitori, condividere con loro le scelte di programma.

Strutturazione degli interventi. Insegnare abilità al bambino autistico è un’attività che si svolge secondo i criteri comuni dell’insegnamento: presentazione del compito, aiuti, rinforzo e motivazione, esercizio. Le caratteristiche della patologia autistica ci obbligano però a offrire al bambino un aiuto che aggiri o compensi le sue tipiche difficoltà ad apprendere.

La difficoltà fondamentale per l’autistico è quella di ricavare e riconoscere un significato socialmente condiviso nelle varie attività: è questo significato che spesso funziona da «molla» per l’apprendimento dei bambini a sviluppo normale. La sua assenza o la difficoltà della sua costruzione ci costringe a progettare attentamente la struttura del nostro insegnamento per permettere al bambino autistico di utilizzare, per apprendere, le sue caratteristiche di memoria meccanica, ripetitività, adesione a routine, oltre alla buona motricità fine e globale, capacità percettive spesso fuori del comune, abilità visive che compensano quelle uditive spesso carenti.

Lo spazio fisico deve essere quindi progettato per aiutare il bambino a capire dove si svolgono determinate attività; uno schema della giornata va definito e comunicato adeguatamente al bambino con mezzi adatti alla sua comprensione. Questi mezzi sono spesso visivi, come sequenze di fotografie o disegni, spesso visivo-tattili, come sequenze di oggetti; a volte parole scritte o agende, a seconda delle necessità del bambino. Egli può dunque comprendere quando è il momento di svolgere determinate attività, e quindi, una volta terminate, cosa fare dopo. Per ogni bambino viene quindi approntato uno schema di lavoro che con mezzi di facilitazione gli permetta di imparare a lavorare in modo indipendente. Ogni compito su cui il bambino dovrà esercitarsi per raggiungerne la padronanza potrà essere organizzato per presentargli con chiarezza i suoi aspetti rilevanti, in modo da permettergli di svolgerlo in modo del tutto indipendente, sganciato dai suggerimenti dell’insegnante, che nel caso del bambino autistico possono diventare una trappola, distraendolo dalle variabili del compito. È bene quindi che i compiti «parlino da soli», suggerendo al bambino cosa fare e come. Lo schema di lavoro permetterà al bambino una chiara visualizzazione anche della quantità di lavoro da svolgere: per esempio i materiali di lavoro possono essere preparati in una vaschetta posta a sinistra del bambino, e messi in una vaschetta a destra quando sono stati completati: in questo modo il bambino ha rapidamente l’idea di quanto tempo avrà da lavorare.

La difficoltà (e la sfida) per l’insegnante è in questo caso quella di fornire al bambino il minimo di suggerimenti visivi o tattili sufficiente perché possa lavorare in modo indipendente, per permettergli di organizzarsi progressivamente il lavoro con maggiore completezza (pur sapendo che forse un certo grado di dipendenza da un’organizzazione del lavoro di tipo protesico sarà necessaria per tutta la vita); e inoltre quella di organizzare lavori che si modifichino continuamente fornendo difficoltà graduate superabili dal bambino, in modo da permettergli di svolgere il compito senza annoiarsi ma anche senza incontrare difficoltà per lui insormontabili (Micheli E., Introduzione a La comunicazione spontanea nell’autismo di Schopler E. et al., Erickson, 1998).

 

Il lavoro educativo nelle aree dell’intersoggettività (riconoscere l’esistenza dell’altro e di sé come soggetti in interazione), della comunicazione (inviare e ricevere messaggi) e delle abilità interpersonali (saper vivere in relazione alle diverse situazioni sociali) ovviamente non potrà svolgersi come lavoro indipendente, richiedendo l’interazione tra più soggetti; ma tener conto della necessità di inserire la pratica degli obiettivi scelti in queste aree all’interno di una chiara struttura, organizzando con chiarezza spazi, tempi, suggerimenti visivi o tattili, permetterà al bambino autistico di imparare qualcosa anche in queste che sono per lui le aree più difficili. Il principio generale quindi è che l’organizzazione di una chiara struttura e l’utilizzo di modalità visive o tattili per comunicare al bambino compiti o momenti della giornata, o sequenze di azioni, sono da considerare strumenti di facilitazione che permettono al bambino autistico di compiere quelle esperienze che a lui, come a tutti i bambini, sono necessarie per apprendere.

Intervento educativo sui comportamenti problema. La presenza nel bambino autistico di comportamenti che disturbano o preoccupano le persone intorno a lui è cosa purtroppo ben nota: aggressività, comportamenti pericolosi, fughe, problemi dell’alimentazione e del sonno, stereotipie motorie e routine ossessive fanno tutte parte delle comuni descrizioni della patologia. È interessante il fatto che buona parte di questi problemi nascono dalla confusione che l’ambiente presenta per il bambino autistico, dalla eccessiva difficoltà delle richieste che gli vengono rivolte e dalla mancanza di abilità comunicative e interpersonali che gli impediscono di tener conto degli interessi delle altre persone.

Buona parte dei problemi di comportamento sono quindi ridotti quando il bambino incontra un ambiente organizzato secondo i principi dell’educazione strutturata. Quando incontriamo comportamenti problema, è necessario chiederci prioritariamente quali abilità sostitutive bisogna insegnare al bambino, e quali accorgimenti sono necessari nell’ambiente perché esso risulti al bambino più leggibile. In aggiunta a questo principio, quello della prevenzione, possiamo ricorrere, per sconfiggere o ridurre il disturbo derivato da determinati comportamenti, alle tecniche psicoeducative neocomportamentali: l’analisi funzionale, il rinforzo differenziale di forme alternative di comunicazione, l’estinzione, il timeout, ecc. (Ianes D., Autolesionismo, stereotipie, aggressività, Erickson, 1995).

Specifici punti di forza dell’approccio TEACCH utilizzabili in un contesto scolastico integrato

1. Strutturazione dello spazio

L’alunno autistico, per le sue caratteristiche nell’elaborazione dell’informazione, ha bisogno di una forte e chiara strutturazione dello spazio in cui vive e svolge le attività: gli accorgimenti utili a questo proposito sono estendibili, a vari gradi, anche alla generalità degli altri alunni.

a. Definizione chiara e riconoscibile delle funzioni di un certo ambiente o parti di esso e di cosa si fa in quel contesto. Gli ambienti devono essere suddivisi chiaramente per funzioni (tempo libero-riposo; lavoroapprendimento; mensa; WC-igiene; ecc.) e ciò che si fa in questi ambienti va segnalato con chiarezza attraverso segnali evidenti, stabiliti, appresi e costanti (oggetti tipici dello svolgimento di quell’attività, oppure immagini, oppure qualcosa di scelto dall’alunno).

b. La definizione e le marcature degli spazi devono rimanere costanti nel tempo.

c. Un ambiente o una parte di esso deve avere solo una funzione specifica.

d. All’interno di uno spazio va definito il posto esclusivo per l’alunno, che rimanga sempre quello e che sia immediatamente riconoscibile.

e. In generale, la ricchezza di stimoli e la varietà sono distraenti e disorganizzanti e va scelta anche in base a questo la collocazione nei banchi.

2. Strutturazione del tempo

a. Le attività vanno scandite in modo prevedibile, costante e regolare. Le novità e le improvvisazioni possono creare difficoltà e disorganizzazione. Dovrebbero essere create delle routine il più possibile regolari a dimensione giornaliera e settimanale.

b. È fondamentale costruire e usare sistematicamente uno strumento di gestione dei passaggi da un’attività a quella successiva. Le forme che può assumere questa «Agenda», possono essere molte (con fotografie, stimoli, oggetti concreti tratti dalle varie attività, ecc.), ma la gestione dell’agenda dovrà comunque prevedere alcune tappe precise che l’alunno fa in sequenza:

1. va all’agenda e prende il simbolo della prossima attività;

2. va al luogo dell’attività;

3. la svolge fino al termine;

4. riporta il simbolo dell’attività all’agenda ricollocandolo nello spazio delle «cose fatte»;

5. prende il simbolo della prossima attività e così via, nei modi più diversi.

c. È importante rispettare con accuratezza i tempi di inizio e fine di un’attività, per costruire il senso di routine regolari e prevedibili anche nella loro durata.

3. Strutturazione delle attività

Le attività giornaliere dovrebbero configurarsi come una miscela armonica di interventi in aree diverse e con modalità diverse (individuali e di gruppo).

1. All’interno della sequenza dell’attività, inserire spesso periodi di «riposo», anche tra un’attività e l’altra. Non è necessario che siano particolarmente lunghi, l’importante è la regolarità e la prevedibilità.

2. Alternare regolarmente attività individuali ad attività integrate con il gruppo degli alunni.

2.1 Attività individuali, da definire, per quanto riguarda gli obiettivi e i livelli di difficoltà, sulla base delle valutazioni iniziali nel Piano Educativo Individualizzato. In questa parte di

attività, si dovrebbe dare priorità alle seguenti aree di sviluppo:

• Autonomia personale – autonomia sociale

• Abilità cognitive

• Comunicazione

2.2 Attività integrate con la classe.

Per quanto riguarda questa parte dell’attività, in cui si lavora con l’alunno integrato con gli altri alunni del gruppo classe, ci si può muovere su due strategie, che possono essere seguite in modo consequenziale o contemporaneo, in funzione delle risposte dell’alunno e della classe.

a. Strategia dei «piccoli gruppi»

– Si parte dalle attività individuali, nelle quali si inseriscono 1 o 2 alunni del gruppo classe, quelli che più hanno capito la logica di questo tipo di attività e i bisogni e le caratteristiche

del loro compagno autistico.

– Questo piccolo gruppo lavora per un periodo in uno spazio specifico, finché ha raggiunto dei buoni livelli di stabilità e di collaborazione.

– Il piccolo gruppo si trasferisce in aula, a contatto con gli altri alunni, in un nuovo spazio dedicato a questo gruppo per tale attività.

– Si differenziano progressivamente e in modo graduale le attività del piccolo gruppo, introducendone di nuove, sempre più vicine a quelle che svolge la classe nel suo insieme.

– Si differenzia progressivamente e in modo graduale la composizione del piccolo gruppo, cambiando qualche alunno.

Questa strategia si armonizza particolarmente bene con attività didattiche della classe organizzate secondo la metodologia dell’«apprendimento cooperativo» in gruppi di 3/4 alunni.

b. Strategia dei «tutor»

– Si parte dalle attività che normalmente svolge l’intera classe, integrando l’alunno autistico nel pieno delle attività:

• scegliendo quelle attività più «compatibili» con le caratteristiche di quell’alunno;

• adattando qualche aspetto dell’attività sulle caratteristiche dell’alunno (utilizzando anche le modalità della strutturazione dello spazio e del tempo);

• affiancando sistematicamente all’alunno autistico uno o due tutor, alunni che siano in grado di aiutarlo con regolarità e costanza, ad agire nel contesto dell’attività integrata.

Questi alunni tutor dovranno essere scelti accuratamente, più sulla base delle loro capacità di porsi in una corretta relazione di aiuto che non sulla competenza scolastica, nel senso del rendimento.

4. Gestione della comunicazione e del comportamento a. Il linguaggio verbale che utilizziamo, sia nelle comunicazioni informali, sia in quelle più formali, legate alle attività, dovrà essere il più possibile semplice e ridondante, quasi fino alla ripetitività.

b. Il linguaggio verbale può essere affiancato da un sistema di segni e simboli chia ro e costante: oggetti, immagini, fotografie, gestualità.

c. È estremamente utile definire in modo individualizzato e peculiare un sistema di gratificazioni e di premi da utilizzare in modo costante e ritualizzato, per valorizzare l’impegno, la costanza nel lavoro e l’apprendimento. In alcuni casi può essere utile usare come gratificazione anche il lasciar fare all’alunno autistico un po’ dei suoi comportamenti stereotipati e ripetitivi.

d. I comportamenti problematici, se vi sono, vanno gestiti come «crisi» che ogni tanto accadono e che, quando avvengono, devono essere gestite alla meno peggio, limitando i danni, ricorrendo, se possibile, all’opera dei compagni tutor. Alla classe andrebbe spiegato che queste «crisi» di comportamento strano (aggressivo, autolesivo, distruttivo, ecc.) possono avere dei significati: possono essere dei modi di comunicare qualche bisogno, desiderio o stato emotivo negativo, come paura o disagio per qualcosa. Oppure possono essere forme di gioco autostimolatorio particolarmente forte, che non ha funzione comunicativa. In questo modo si stimola la classe a cercare di «leggere» i significati di questi comportamenti, al di là dello spiegarli in modo semplicistico attribuendoli all’«autismo».

5. Acquisizione e mantenimento delle abilità

Le caratteristiche cognitive dell’alunno autistico gli rendono difficile estendere le nuove acquisizioni a materiali, contesti, pensare a situazioni nuove. La sua rigidità lo porta ad agganciarsi rigidamente alle situazioni in cui ha lavorato. Per questo si dovrà cercare, con gradualità e cautela, di introdurre nelle situazioni delle varianti, dapprima deboli e poi via via più forti, in modo che le capacità si estendano ad un numero sempre maggiore di variabili della situazione, aumentando l’autonomia reale e, in prospettiva, il mantenimento della capacità acquisita.

LA PAROLA AI GENITORI

Presenteremo qui di seguito alcuni brevi stralci tratti dalle interviste ai genitori dei bambini autistici che hanno vissuto un’esperienza didattico-educativa all’interno della ex Sezione Speciale “Buricchi”. Le parole dei genitori sono riferite ai momenti di difficoltà, ai problemi che ancora persistono ma anche agli obiettivi raggiunti, ai timori vissuti nei momenti di cambiamento e a delle riflessioni sull’approccio TEACCH.

(In riferimento al TEACCH) “Una convincente base teorica ci ha dato conferma di molte situazioni comportamentali che riscontriamo in O., aiutandoci a interpretarle. Non ultimo il messaggio della necessità di una presa in carico globale propugnata chiaramente all’approccio TEACCH, ci ha motivato a essere da stimolo alla collaborazione con le istituzioni e reso consapevoli della necessità di adeguarci alle scelte di intervento più diffuse e accreditate. Ormai O. è grande, gli anni sono passati. Ricordo il primo anno di regressione violenta, in qualche modo prevista, poi superata e i nostri interrogativi: Andrà volentieri a scuola o è un rituale a cui si è uniformata? Sicuramente O. è “cresciuta” anche indipendentemente dagli interventi, ha sperimentato contatti umani, rapporti diversificati e significativi con altre persone, ma forse avremmo potuto fare molto di più. Le sue “emergenze” sembrano essere molte anche se fino ad oggi non è stato possibile riuscire a svilupparne molte, malgrado l’impegno degli operatori. L’ambiente scolastico “vissuto” come luogo di attività e di crescita, e quello familiare come momento di riposo e di applicazione, continuano a sembrarci l’obiettivo da raggiungere”.

Genitore di O.

 

“Oggi si ha l’impressione che il TEACCH sia servito per controllare le crisi degli utenti, riportare l’ordine, ma non so fino a che punto e con quali precisi obiettivi si lavori ogni giorno… Secondo me tutto è troppo ordinato e i ragazzi hanno pochi stimoli… La scuola è importante non per assistere o per proteggere, ma per potenziare l’autonomia… In questi anni non ho visto risultati… naturalmente una madre non può sapere se ciò dipende dal proprio figlio o dai pochi stimoli. Ecco la necessità delle verifiche frequenti”.

Genitore di T.

 

“Alle elementari V. era “parcheggiato” in una stanza… Non aveva contatti con i bambini normali. Si è provato prima a portare lui per pochi minuti nella classe e poi a portare gli altri bambini nella stanza a lui assegnata. I tentativi sono falliti perché V. diventava aggressivo verso tutto e tutti e aveva crisi autolesionistiche… Ora, nella nuova scuola, con l’applicazione del TEACCH, V. è più tranquillo ed è migliorato; sta seduto a tavola anche a casa e non fa più confusione… E’ importante che la nostra scuola continui ad esistere”.

Genitore di V.

 

“Il nostro impatto con questa scuola è stato molto positivo e le nostre aspettative sono state rispettate, quindi anche le paure e le riserve iniziali sono scomparse… Mio figlio è molto cambiato; è più calmo, più coordinato nel fare le cose abituali di tutti i giorni. Noi speriamo che questa sezione continui a svolgere e anche a migliorare il lavoro fatto”.

Genitore di F.

 

“Il primo impatto con la sezione speciale è stato positivo, vedendo che tipo di lavoro potevano svolgere per aiutare L. in direzioni mirate a migliorargli la vita. Il TEACCH gli è sicuramente

giovato, aiutandolo a migliorare un po’ in tutto… Mi auguro che tutto questo possa andare avanti nell’interesse di L. e degli altri ragazzi, non vanificando il lavoro fatto dalle insegnanti che li seguono”.

Genitore di L.

 

“Durante il quarto anno della scuola elementare la permanenza di M. nella classe era diventata pressoché impossibile. L’insegnante di sostegno era costretta a “trasferirsi” con M. sempre più spesso nella Sezione speciale. E meno male, altrimenti l’alternativa erano i corridoi. E’ stata comunque un’esperienza molto bella sia per il rapporto che i bambini avevano con M. sia per l’impegno di tutte le insegnanti che hanno dimostrato sensibilità e senso del dovere… Il TEACCH è stata una bella esperienza, poiché ci ha aiutato a chiarire e risolvere tanti aspetti del “comportamento autistico”… Per il futuro ci aspettiamo che la Sezione speciale continui ad esistere… Questa tipologia di handicap non può essere integrata per decreto. Solo una Sezione speciale può dare delle risposte giuste ai ragazzi e alle famiglie. Se qualche momento di integrazione si deve creare perché le normative lo impongono, facciamolo pure, ma non sappiamo e non sapremo mai se nostro figlio le gradisce”.

Genitore di M.

 

“Noi abbiamo accolto con molto entusiasmo l’idea della Sezione speciale di creare un programma specifico, mirato al loro tipo di handicap, in un ambiente che permette di fare integrazione con le classi normali nei modi e nei tempi consentiti a seconda delle possibilità e/o disponibilità dei ragazzi. Nel caso di nostro figlio il TEACCH non ha risolto del tutto il problema dell’autolesionismo, ma nonostante ciò ci sembra più sereno e meno angosciato. Riguardo al futuro per noi è fo ndamentale che questo progetto continui, vada avanti e si evolva in meglio. L’idea di dover inserire nuovamente nostro figlio in una classe normale ci terrorizza. Verrebbe semplicemente “parcheggiato” senza apportare nessun miglioramento né da un punto di vista didattico, né relazionale; sarebbe terribile sia per noi ma soprattutto per lui”.

Genitore di F. M.

 

“Qualunque soluzione possa attuarsi deve rappresentare una risposta a bisogni specifici e può avere significato solo se riesce ad attuarsi una rete di responsabilità e di collaborazione fra gli enti coinvolti, compresa la famiglia, offrendo risorse umane che abbiano adeguata formazione e motivazione. Per quanto riguarda il futuro, mi immagino una scuola che pur portando avanti la didattica, offra la possibilità ai ragazzi normali di vivere come arricchimento il contatto con persone diverse, con altri codici, altri valori, altri bisogni”.

Genitore di O.

 

Fonte: Ianes D. (2002), L’approccio psicoeducativo TEACCH, «L’educatore», Anno XLIX, n. 23, pp. 32-37.

 

pubblicato grazie all'autorizzazione di www.ippocrates.it