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Un percorso lungo trenta anni Print E-mail

Dal nostro forum un messaggio di una neo-iscritta, cugina di un ragazzo autistico di 30 anni:

In questi due giorni di lettura credo di aver capito che qui siete quasi tutti contrari agli psico-farmaci. E siete tanti!!! E allora mi chiedo come si fa a livello di strutture sanitarie ad essere ancora così ciechi di fronte alla possibilità di percorrere strade diverse? Io, da persona non direttamente coinvolta, posso solo lontanamente immaginare quanto sia straziante per un genitore convivere con il senso di colpa di dover "annientare" quotidianamente un figlio per il quieto vivere proprio ed altrui.

Il post di Nicola, genitore del ragazzo 23enne, è stato il dejàvu, della storia della famiglia di Gigi, 30enne. Le stesse tappe obbligate, gli stessi luoghi della speranza, i luminari dell'epoca, rimossi ovviamente gli immancabili ciarlatani e speculatori... per intraprendere un lungo cammino che oggi, visti i risultati, sembra non aver portato ancora da nessuna parte.

 

 


I miei zii ne hanno collezionato, eccome, di quelle diagnosi "creative" che si sta archiviando tanto diligentemente in qualche cartella...

"Distruttive" invece sono sempre state le soluzioni proposte come Centri riabilitativi o semiconvitti inadeguati rivelatisi, nella migliore delle ipotesi, solo parcheggi. Già perché dev'essersi verificato anche di peggio... Tutte quelle cose, intendo, quelle poche che si potevano intuire, che Gigi non poteva o non voleva raccontare. Piccoli e vigliacchi soprusi che vanno dalla sparizione di piccoli effetti personali come orologi, braccialetti, cappellini, occhiali da sole... a vere e proprie negligenze come il rientro a casa con gli abiti bagnati di urina o non suoi, o senza scarpe in pieno inverno.. complice l'incallita noncuranza degli addetti.

Quando si risiede in certe zone d'Italia, il ricorso all'ausilio di strutture in semi-convitto è davvero l'ultima spiaggia a cui approdano i genitori sfiniti e disperati. Allora ci si riempie di speranza con parole tipo "terapie occupazionali" "riabilitazione" e tutto ciò che in modo roboante possa mettere a tacere l'urlo della propria coscienza che, chissà perché, non riesce o non vuole proprio placarsi.

Un figlio non è un pacco. Soprattutto un figlio che non sa difendersi. Un figlio si AFFIDA e solo in buone mani. Ma poi capita che, anche se ci metti tutte le tue buone intenzioni, ti basta poco per capire che aria tira. E devi misurarti con squallide realtà che si rivelano sempre gestite, purtroppo, da gente senza scrupoli.

Allora riprendi le forze, devi!, e ricomincia la ricerca di una situazione migliore. Alla fine, questi centri, li conosci quasi tutti e ti accorgi che Gigi è tra quei casi che nessuno vuole, visti anche i genitori "difficili" che si ritrova... Inoltre se hai qualcosa da rimproverare ad uno, come un tam tam l'allarme si propaga e le porte di questi centri ti si chiudono prima ancora che ci arrivi. Allora in situazioni davvero critiche per una famiglia, cosa resta in piazza?

Et voilà, dal cappello dell'Igiene Mentale, dell'ASLCE2 e di tutto il codazzo di incompetenti lì piazzati viene sempre fuori la magica ricetta degli psico-farmaci. Perché scandalizzarsi? E' la soluzione più ovvia, anzi puoi prenderne un po' anche tu... Vedrai che non fanno male, ti tranquillizzano solo un po'... così la smetti anche di porti così sempre criticamente!, (sta a vedere che anche tu non ha proprio tutte le rotelle al posto giusto...) Alla fine ecco come se ne esce.

E se mi sbagliassi? E se ne avesse davvero bisogno? Quale genitore non se lo chiede? Ma leggere tutti gli effetti collaterali c'è davvero un bel po' da rabbrividire! Così, passate le fasi critiche, mia zia ancora oggi mi dice "Meglio che sia io a ricevere un pugno, tanto un livido poi passa, anziché drogare mio figlio tutti i giorni. Questo significherebbe danneggiare i suoi organi per sempre. Al male aggiungerei solo altro male. E poi, se qualcosa andasse storto, come farei a capire che sta male? Come me lo dice?!..." Ed io non posso non ammirare il suo coraggio, ricordandomi di quella volta che lo portò in ospedale perché preoccupata per uno strano pallore e un'espressione insolita. Non un lamento, ma fu operato d'urgenza per un inizio di peritonite!..."
Per i miei zii Gigi è il loro unico figlio. Oggi è la loro missione e ragione di vita.
E vanno avanti senza psicofarmaci. Almeno finché si può. Ma a sessant'anni, le energie si affievoliscono, ed è naturale chiedersi "per quanto ancora resisterò?" e "cosa ne sarà di lui quando noi non ci saremo più?" Così si tenta di pianificare un suo futuro, che si spera lontano, fatto di dignità ed amore. Centri in semi convitto che non siano lager o parcheggi, persone ad ore, insomma si tentano tutte le strade per far fronte a circostanze che purtroppo potrebbero verificarsi. Perché in Campania il tunnel è anche al di fuori di Gigi. E da qui non se ne vede proprio l'uscita.