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Intervista al dott. Massimo Borghese Print E-mail

Una vita dedicata ai bambini affetti da autismo.

Intervista a Massimo Borghese.

 

 

 

Come nasce,  dott. Borghese, la sua passione per i bimbi autistici?

 

Lavorando con questi bambini che vedevo giornalmente. Sentivo di poter fare qualcosa per migliorare la condizione di quei ragazzini che la medicina dava per 'incurabili'. Dentro di me sapevo che potevo mettere i miei studi a loro disposizione, realizzando qualcosa di adatto veramente a loro. Qualcosa che usciva dagli schemi dei manuali letti fino a quel momento. Decisi assieme ad una logopedista  di iniziare con programmi  riabilitativi che puntassero soprattutto, sia pure non esclusivamente, sul linguaggio verbale, sovvertendo una regola che era già diventata un postulato, secondo la quale un bambino autistico non avrebbe dovuto iniziare un percorso logopedico se non fosse stato pronto  a recepirne  le tecniche. Pensandola in questo modo, però, non avrebbe mai iniziato, secondo me, perché sarebbe sempre mancata qualcosa. 

 

 

Perché foniatria e logopedia per l’autismo?

 

La foniatria è la disciplina medica che si occupa di fisiopatologia della comunicazione,compresa quella verbale. La logopedia, invece, è la branca che ne cura gli aspetti riabilitativi. Trovo assurdo che in Italia,  in molti casi, dobbiamo ancora spiegare perché è logico e naturale che foniatra e logopedista si debbano occupare di autismo, in quanto comunicopatia. Del resto, nelle competenze di queste due figure professionali rientrano la linguistica, la fonetica articolatoria, la deglutologia, l’intervento sulle abilità percettive, integrative, cognitive, comportamentali. Fanno tutte parte integrante dei programmi di studi e formazione di foniatra e logopedista. L’altro assurdo è doverlo ancora spiegare a chi crede o vuol far credere, che foniatria e logopedia si occupino solo di voce e articolazione del linguaggio.

 

 

Quali sono le caratteristiche del suo metodo, ma soprattutto, si può parlare di 'metodo Borghese'?

 

Mi verrebbe da rispondere, in prima ed immediata istanza, che la caratteristica principale forse è proprio quella di non rappresentare un metodo vero e proprio.

Non è un gioco di parole se dico che i limiti di un metodo, a mio avviso, stanno proprio nel fatto che sia… un metodo! Mi spiego:' Sento parlare di “metodo sensoriale”,  di “metodo comportamentale”, di “metodo cognitivo”.... Secondo me, ogni individuo, normale o patologico che sia, andrebbe visto sia in chiave di lettura diagnostica delle sue capacità comunicative, sia in ambito terapeutico nei confronti delle sue inadeguatezze, secondo l’ottica del cosiddetto “profilo comunicativo”, cioè secondo l’insieme delle funzioni riferibili ai versanti: percettivo, cognitivo-integrativo-decisionale, motorio-prassico-espressivo, emotivo-relazionale-comportamentale. Ciascuno di noi è contemporaneamente,  percezione, integrazione delle percezioni, intelligenza (cognizione e decisionalità), comportamento, motricità ed espressione. Non avrebbe senso valutare solo uno di questi versanti, tanto meno agire esclusivamente o prevalentemente su uno di essi, credendo che il suo miglioramento porti di conseguenza benefici su tutto il resto delle abilità. Ecco perchè nei miei centri, la mia equipe agisce su tutti gli aspetti :percettivo, cognitivo, espressivo, comportamentale, ritenendo che nessuno sia propedeutico nei confronti degli altri. Tengo a precisare che non ho scoperto niente di rivoluzionario, ma ho semplicemente cambiato modo di fare riabilitazione rispetto a come è accaduto fino a qualche tempo fa. Ho puntato  soprattutto sulle funzioni linguistiche verbali e quelle ad esse correlate, come la masticazione e la deglutizione, ponendole all’inizio del percorso rieducativo e non in momenti successivi.

 

 

Lei parla di una equipe. Da chi è composta e che preparazione hanno i colleghi che lavorano con lei nei suoi centri?

 

All'interno dei miei centri, operano una o più logopediste, neuropsicomotriciste, psicologhe, pedagogiste, musicoterapiste, insomma, tutte figure inerenti al campo della riabilitazione. Si tratta di professioniste, che prima di essere chiamate ad intervenire sui bambini, vengono accuratamente selezionate nonchè 'formate' da me, attraverso un corso   sull’autismo e le altre comunicopatie dell’età evolutiva.

 

 

Un percorso che dura un biennio, durante il quale si svolgono lezioni  e centinaia di ore di tirocinio  in diagnostica ed in terapia. Alla fine,  chi è interessato a rimanere, lo può fare,  ma c'è chi decide pure di andar via  o viene da me invitata a farlo. Chi resta continua a fare tirocinio e partecipa ai corsi degli anni successivi, che vengono costantemente aggiornati. Si paga solo l’iscrizione al primo corso, la partecipazione (obbligatoria per chi resta) a quelli  successivi è gratuita. Per me è fondamentale che giornalmente, la terapista debba dimostrare la sua validità sul campo, altrimenti non resta.   Lavorare con bimbi autistici richiede caratteristiche non semplici che vanno oltre gli studi universitari. Sulla qualità delle figure che lavorano con me sono molto esigente.

 

 

Lavora da oltre vent'anni con questi bambini e si divide in tre centri. Ma secondo lei, l'autismo che cos'è?

 

Ogni autistico vive una condizione  diversa  da quella di un altro autistico, ma  in comune, due soggetti  possono avere un insieme di sintomi. Ecco perchè non credo in un metodo standard per la riabilitazione. Un bambino può essere compromesso in  diverse aree, nelle quali in un altro caso, non si registrano carenze. Ad esempio, un piccolo autistico può avere dei grossi problemi di motricità fine mentre un altro può non averne affatto. Possono esserci bambini, in cui è necessario tirar fuori il linguaggio verbale, altri che invece, lo sviluppano  e risultano compromessi in tutt'altra serie di abilità. Ci sono bambini iperattivi, altri che non lo sono. Ecco perchè, a mio avviso, non è possibile intervenire con un unico modello riabilitativo. Secondo me, un programma che funzioni e che dia risultati concreti è quello realizzato 'su misura' per quel singolo soggetto. Dopo un'attenta osservazione dei punti deboli e dei punti di forza di ogni bambino che viene preso in carico nel mio centro, viene costruito un percorso, che, per la diversità delle caratteristiche che ogni caso d'autismo presenta, non sarà mai uguale ad un altro. Ecco perchè quando un genitore a distanza mi chiede come affrontare un certo tipo di problema, non mi sbilancio mai. Perchè ogni bambino rappresenta una individualità così complessa che è corretto e professionale da parte mia, affrontarla dal vivo e capirne l'origine.

 

Ogni bambino autistico rappresenta un mondo a sé e non è detto che perchè un percorso riabilitativo ed un gruppo di terapiste hanno prodotto progressi per uno, due o tre bambini, debbano necessariamente funzionare con il quarto.

 

 

Più volte lei ha usato il termine “ex autistico”. Che cosa intende dire con questa definizione?

 

Prendiamo ad esempio un bambino che era chiuso in sé, non comunicava, non parlava, non aveva autonomie, era in alcuni casi aggressivo, non era scolarizzabile e socialmente gestibile. Se dopo un percorso riabilitativo quello stesso bambino comunica, parla, legge, scrive, si comporta in modo adeguato, ha una vita di relazione come gli altri, ha conquistato le autonomie… perché dovrebbe essere considerato ancora autistico? E anche se non parla in modo  perfetto da un punto di vista lessicale o grammaticale o fonologico, ha qualche difficoltà di lettoscrittura come se fosse un lieve dislessico, o balbetta, per me, questi non sono sintomi tipici dell'autismo. Credo sia necessario spiegarci meglio. Esiste una distinzione tra guarigione clinica e guarigione anatomopatologica. La guarigione clinica consiste nell'estinzione dei sintomi, indipendentemente dal substrato anatomopatologico che sostiene l'autismo. Il danno cerebrale di fondo può essere ancora lì,  ma il bambino può essere cambiato a livello comportamentale, linguistico verbale, sociale, cognitivo,al punto da risultare "guarito" nei confronti della sintomatologia autistica.

 

 

Come giudica quei professionisti che promettono la guarigione?

 

Non lo trovo etico. Quando una coppia di genitori viene da me, guardandomi come per chiedermi cosa sarà di quel loro piccolino che ha appena ricevuto la diagnosi di autismo, io rispondo loro che non sappiamo cosa ci riserverà il futuro. Nella maggior parte dei casi, è difficile parlare di recupero di tutte le abilità compromesse dall'autismo, ma quando siamo dinanzi ad una diagnosi precoce, allora lì mi sbilancio perché so che su un bambino di 2/3 anni, si può lavorare tantissimo e si può riuscire a ottenere grandi risultati. L'intervento precoce è davvero determinante e quando c'è quello, nemmeno la severità della diagnosi mi scoraggia. Ma come ho detto prima e ci tengo a ribadire, ogni bambino è un caso a sé.

 

 

Nei suoi centri prendete in carico solo bambini in tenera età o anche adulti ?

 

Fino a circa dieci anni fa, eravamo alquanto restii a prendere in terapia soggetti di età superiore ai dieci anni, poi ci siamo accorti che anche in età più avanzata si possono ottenere miglioramenti sul piano della comunicazione,a volte verbale a volte no, delle autonomie, dei comportamenti sociali. Ci siamo aperti, quindi, anche alla possibilità di operare su adolescenti e adulti, specificando però che i limiti di recupero sono più ridotti.

 

Qual è l'età del bambino più grande e quella del più piccolo di cui si sta occupando?

 

Il più grande ha vent'anni. Il più piccolo, ha appena ricevuto la diagnosi ed ha due anni

 

 

Di quali altre comunicopatie si occupa?

 

Foniatria, come dicevo prima, è fisiopatologia della comunicazione, quindi ci si occupa di ritardi mentali, sordità, paralisi cerebrali, balbuzie, disabilità di apprendimento, disturbi della deglutizione e masticazione, difetti di voce e di pronuncia, afasie e disfasie, ma nell’autismo, ci siamo chiesti : quanto c’è di ognuno di questi quadri patologici? Un autistico, quanto è disprassico, dispercettivo, disfasico, dislalico? Ecco perchè, tra l’altro, l’importanza della logopedia nell’autismo.

 

Che cosa pensa delle cosiddette cure biomediche?

 

 Tra le componenti organiche che sono alla base degli autismi, sì, perché parlerei di autismi più che di autismo, ci sono anche delle condizioni di alterato metabolismo. Penso quindi che “ripulire la lavagna” su cui bisogna scrivere, cioè disintossicare un organismo eventualmente intossicato, non può che aiutare i trattamenti educativi-riabilitativi, rendendo il bambino più manipolabile in senso terapeutico. Ho notato però che non tutti rispondono allo stesso modo alle diete ed alle terapie biomediche. Sono giunto all’idea che esistono autistici “responders” ed autistici “non responders” a queste cure. Tra l’altro, i nostri primi casi di recupero, seguivano solo percorsi logopedici. L’avvento di nuove possibilità terapeutiche l’ho accolto comunque, con interesse e disponibilità. Credo che anche in questo caso, l’importante sia evitare accanimenti e fanatismi e guardare la realtà nella sua giusta misura.

 

 

Allora lei prescrive anche terapie biomediche?

Mi limito solo a consigliare la dieta senza glutine, caseina, mais e soja e degli integratori a base di vitamine e sali minerali. Non tutti accettano, naturalmente. Nel caso  ci siano dei problemi intestinali seri del bambino, è chiaro che consiglio alla famiglia di recarsi da un gastroenterologo o da un medico specializzato.

 

 

Sappiamo che lei ha fatto delle esperienze professionali all'estero. Ce ne può parlare?

 

Nel 2003, ho visitato il centro Pfeiffer di Chicago (U.S.A.) accompagnando di persona alcuni  bambini con autismo. E' stata un'importante opportunità per imparare le metodiche di approccio biomedico seguite da tale centro. Ho seguito inoltre, alcuni bambini e ragazzi stranieri provenienti dalla Svizzera, Danimarca, Libia e Stati Uniti.

 

 

Secondo lei, le logopediste italiane sono all’altezza della situazione e delle sue aspettative?

 

Come tutti i laureati appena diplomati, anche i logopedisti non posseggono gli strumenti operativi sufficienti per entrare subito e bene nel mondo del lavoro pratico. Necessita approfondire i campi in cui ci si vuole cimentare. 

 

 

Che cosa teme di più nella vita e nella professione?

 

L’ignoranza, soprattutto quando collegata alla presunzione ed alla malafede.

 

 

Secondo lei, esistono professionisti che speculano con l'autismo?

Si.

 

Quali sono i momenti più belli della sua carriera?

In ventidue anni di lavoro ho avuto delle grandi soddisfazioni nel constatare i progressi dei bambini da me seguiti. Io amo  il mio lavoro e dedico tutte le mie giornate ai miei bambini. Io trascorro molti momenti con loro, anche fuori dai miei centri. A volte mi capita di farci colazione insieme o ci gioco a pallone. Ho uno splendido rapporto non solo con loro, ma anche con i loro fratellini e sorelline. Mi sento voluto bene ed è veramente tanto quello che riescono a darmi.

 

 

Dott. Borghese, quel'è il caso più recente che le ha dato maggiori soddisfazioni professionali?

 

E' cronaca di questi giorni, l'ultima visita di controllo a D, cinque anni, al quale, due anni fa, fu diagnosticato l'autismo. Non solo da me, ma anche dai neuropsichiatri della sua Regione.

Ebbene, dopo due anni di terapie in uno dei miei centri è diventato un bambino "normale". Si comporta come gli altri e parla come gli altri. Nonostante non sia certo l'unico caso del genere, l'emozione è fortissima per questi momenti di successo e di immensa gioia.

 

 

 

Nel suo sito internet, vengono citati diversi aforismi. Qual è il suo preferito?

 

E' quello di Enzo Ferrari: 'In Italia ti perdonano tutto, tranne il successo'.

 

 

 

 

 

 

 

La storia di Amelia e Marco, una testimonianza che tocca il cuore e dà speranza

 

 

Descrivere il percorso di nostro figlio non è facile perché ci rammenta passaggi dolorosi della nostra vita, ma lo vogliamo fare per dare speranza a tanti genitori a cui è stato detto “ Non c’è nulla da fare!”

 

Siamo Marco e Amelia genitori di un bambino autistico di  5 anni, con diagnosi di “spettro autistico”  dato da una prima visita della Neuropsichiatria Infantile di un ospedale di Napoli.  Successivamente, ci è stato detto che nostro figlio era affetto da “autismo regressivo “,  da parte della commissione dell'Asl a cui apparteniamo.

Il percorso riabilitativo di nostro figlio inizia nel lontano ottobre 2005, con la presa in carico da uno dei centri definiti 'migliori' in Campania. A nostro parere, però,  di “migliore non aveva niente”, in quanto abbiamo constatato incompetenza. Lì, veniva denigrato il ruolo del genitore ed i medici con cui abbiamo avuto a che fare ci  trasmettevano  compassione e rassegnazione, pugni in pieno stomaco per una mamma ed un papà nella nostra situazione.

 

Dopo 8 mesi,  stanchi di poche ore di psicomotricità e non vedendo alcun miglioramento da parte del bambino, facciamo la spola tra un'Asl e l'altra.

Abbiamo cominciato a cercare su internet (per fortuna che esiste) ed approdiamo dal Dott. Massimo Borghese dove iniziamo un  percorso che sembrava tutto in salita,ma con la convinzione che stavolta era quella la strada giusta.

 

Gli inizi sono stati  infuocati.  Giovanni non voleva farsi toccare assolutamente la bocca, era iperattivo e alcune volte, anche aggressivo con le  terapiste che cercavano di contenerlo. Dopo un anno e mezzo e dopo tanto duro lavoro, ecco spuntare la prima parola.  Poi un’altra e poi un’altra ancora. Quindi, la discesa ed un fiume in piena di progressi. Oggi, dopo due anni molto intensi, nostro figlio ha cominciato a parlare, ha eliminato quasi del tutto le stereotipie manuali. Ha consapevolezza di ciò che lo circonda. Mangia da solo. Ha raggiunto il controllo sfinterico totalmente. Inizia a giocare con le sorelline (abbiamo 2 gemelle più grandi)

 

Il merito di questi miglioramenti va al grande lavoro effettuato dallo staff del Dottor Borghese, che si avvale di persone competenti e preparate che eseguono un programma globale su tutte le  aree comunicative del bambino.

 

Non so dove arriveremo col nostro bambino, anche perché dobbiamo lavorare ancora su alcuni difetti di pronuncia e su altre aree, ma di certo sappiamo che questa è la strada giusta da percorrere, non pensiamo che nostro figlio guarirà, ma riteniamo che attraverso questa metodica possa raggiungere ad acquisire tutte quelle abilità che questa malattia compromette.

 

Ai  genitori che come noi, dall'oggi al domani, si sono ritrovati con il mostro dell'autismo dentro casa, vogliamo solo dire di non perdere la speranza e di combattere. I mezzi oggi, li conosciamo e sta a noi sfruttarli al meglio e il più precocemente possibile.

 

Marco e Amelia