Intervista a Rita Giaquinta |
Rita Giaquinta, una mamma per tutti i bimbi autistici di Natalia Bandiera Parlare con Rita Giaquinta e confrontarsi con lei non è come parlare con la solita professionista che sponsorizza il ‘proprio’ metodo per ‘venderlo’ ad ogni costo. Non è come parlare con la classica mamma che dopo aver scelto un percorso riabilitativo ne vuole fare un motto di vita per chiunque. Conversare con Rita Giaquinta significa poter ascoltare il suo pensiero che riesce a comunicarti con l’umiltà del genitore che non è convinto di avere la verità in tasca, ma che si mette continuamente in discussione alla ricerca di quanto possa essere utile per il proprio bambino. Con questo spirito ‘libero’ lei è approdata circa tre anni fa all’Rdi, ma non é esclusivamente a questo che attribuisce i progressi di un figlio che ha avuto la fortuna di avere una madre come lei. Probabilmente è questa la chiave dei successi ottenuti dal suo bambino, nove anni, con disturbo autistico. E’ un bambino capace di conversare a tutto tondo, di esprimere ragionamenti, di raccontare persino i propri sogni notturni. Un bambino che, seppur autistico, è riuscito a tirarsi fuori da certi ‘schemi’. I suoi genitori, sin da quando hanno avuto quella terribile diagnosi, che ha cambiato loro la vita, non si sono fermati e anche quando si sono affidati a sistemi riabilitativi che sembravano essere la soluzione di tutti i problemi del bambino, hanno avuto la capacità di guardare oltre. ‘Mi sono accorta che mio figlio aveva dei problemi quando aveva circa due anni e mezzo – racconta Rita Giaquinta, consultant R.D.I in training, - sono stata accusata di metterlo a paragone con troppa morbosità a mia figlia più grande. Poi, è arrivata quella diagnosi che mi ha distrutta gettandomi nel dolore più profondo. Non si è arresa mamma Rita. “I servizi della Npi della mia zona – continua la consulente –erano completamente assenti. L’unico consiglio che mi è stato dato è stato di fare psicomotricità privatamente, un’ora la settimana. Non potevo accontentarmi. Il mio bambino aveva bisogno di ben altro e io volevo far parte del suo percorso riabilitativo”. Rita conosce il metodo Delacato di riorganizzazione neurologica e senza esitazione inizia la sua grande sfida contro l’autismo. ’Devo tanto al metodo Delacato perché mio figlio, dopo poche settimane ha iniziato ad indicare e a parlare. Non avevo mai sentito la sua voce. Che emozione ascoltare quella dolce vocina …. quelle paroline imperfette, che però, spalancavano la porta della speranza!’. Rita non si ferma. Il metodo Delacato, che la impegna oltre due ore al giorno con il proprio bambino, non le basta. ‘Nonostante fossimo contenti di quei progressi, sentivamo che c’erano dei limiti. Io continuavo a stare su internet e frequentando dei gruppi di conversazione virtuale, grazie all’amicizia e al confronto con genitori e parenti di altri bimbi autistici, mi avvicinai al ‘biomedico’. Cercai il dott. Montinari, poi andai agli istituti Pfeiffer. Iniziai la dieta senza glutine e caseina, i vari integratori. Non posso dire di aver visto cambiamenti straordinari in mio figlio, ma sono riuscita a risolvere i suoi problemi di stitichezza. Per quanto riguarda i supplementi, ricordo l’effetto benefico della trimetilglicina. Oggi, continuiamo la dieta e siamo seguiti dagli Istituti Fay. Ripeto, non posso dire di aver visto nel mio bambino cambiamenti repentini, ma sono convinta che gli abbia fatto bene. Però, quando mi si chiede un consiglio sull’intraprendere o meno un protocollo biomedico, preferisco non pronunciarmi, non essendo un medico, ed affidare la scelta esclusivamente al genitore. Perchè, a mio avviso, qualunque tipo di scelta deve essere una responsabilità del genitore. Io non mi sono mai fatta convincere da nessuno, non mi sono mai permessa di farlo con altri e mai lo farò. Sul piano comportamentale, quali altri metodi ha seguito suo figlio? Frequentando i forum che ho citato prima, ho avuto l’opportunità di conoscere l’Aba e dopo due anni di metodo Delacato decidemmo di provare questa strada. Siamo stati fortunati e nostro figlio ha fatto Aba per oltre due anni con la supervisione di una grande professionista come Denise Smith Brunetti. Il mio bambino divorava i programmi, stava volentieri a tavolino ed aveva pure iniziato un certo tipo di conversazione. Tuttavia, anche in questo caso, ho sentito dei limiti in un metodo, che, secondo me, ‘comprimeva’ le potenzialità del mio bambino che sapeva utilizzare si il linguaggio, ma in modo troppo strutturato. Non era comunicazione quella! Mi accorgevo che oltre alle risposte che aveva imparato a dare alle nostre domande, non era in grado di sostenere un dialogo ‘aperto’. Tipo di dialogo che è subentrato con l’Rdi, a cui devo lo slancio straordinario di mio figlio che, oggi, è in grado di rispondere a domande con dovizia di particolari. Se io gli chiedo com’è andata a scuola, lui non si limita ad una risposta secca, ma è capace di ampliare descrivendomi le attività fatte in classe che lo hanno colpito di più, aggiungendo e trasferendomi sensazioni e gioie provocate da un tipo di gioco che ha fatto e lo ha entusiasmato. Se ad esempio, gli chiedo cos’ha fatto di bello, lui è in grado di parlarmi a tutto campo del gioco dei pirati che tanto gli piace. Oggi, mio figlio è migliorato molto nel cambio delle attività, ha sviluppato la capacità di ragionare sulle cose per trovare soluzioni o strategie alternative ed ha persino imparato a mentire. Il suo linguaggio adesso è comunicazione. Perché ha deciso di diventare una consulente Rdi? Perché ho visto dei benefici su mio figlio, ma soprattutto, perché è un tipo di metodo che mi sento addosso più di ogni altro. E’ certamente meno immediato dell’Aba, i cui risultati li vedi subito, ma lo trovo molto più ‘aperto’ e molto più adatto ad una tipologia di genitore che non se la sente di fare il terapista nel senso tecnico della parola. Quel ruolo so che frustra molti genitori e confesso di aver avuto difficoltà anch’io con il mio bambino. Ecco perché non giudico chi, con estrema umiltà, mi dice che non ce la fa proprio a fare Aba, che lo trova molto impegnativo e troppo ‘schematico’ per i genitori. Mio marito stesso aveva enormi difficoltà ad applicare i programmi Aba e, con l’Rdi, si è scoperto molto più padre ed educatore. In breve, cos'è l'RDI? L'RDI è un programma per sviluppare tutte quelle aree di intelligenza dinamica in cui i soggetti con disturbi dello spettro autistico hanno difficoltà: riferimento emozionale, coordinazione sociale, linguaggio dichiarativo, pensiero flessibile, elaborazione delle informazioni relazionali, previsione. L'RDI vuole sviluppare nelle persone ASD le relazioni sociali, la comunicazione e il pensiero dinamico, vuole insegnare a queste persone cos'è l'amicizia, l'empatia e anche a desiderare di condividere il proprio mondo e le proprie esperienze con gli altri. Quanti bambini seguono attualmente in Italia, l’Rdi? Sono circa una quindicina, ma giornalmente, ricevo email e telefonate di genitori che decidono di avvicinarsi a questo metodo comportamentale, vittima di troppi luoghi comuni. Anche sulla scientificità, a mio avviso, è errato fare un paragone con l’Aba. Perchè l’Analisi comportamentale viene applicata ai bambini autistici da oltre trent’anni e, quindi, c’è stato il tempo di studiare e verificare. L’Rdi è più ‘giovane’ e occorre il tempo necessario per fare ricerca. Occorrono degli investimenti, così come sono stati voluti per l’Aba. Al momento, non si può discriminare qualcosa che non ha avuto il tempo di essere validato scientificamente, giudicandola meno efficace di un altro. Questo vale, per me, per ogni metodologia. Poi, ognuno è libero di scegliere ciò che reputa più idoneo alle caratteristiche del proprio bambino. Io posso dire che i metodi intrapresi con mio figlio gli hanno garantito una crescita significativa, ma sono sicura che altri genitori, con altre tipologie di interventi riabilitativi potranno riferire progressi altrettanto determinanti nei loro figli. Attribuire ad un solo metodo il recupero di importanti abilità compromesse dall’autismo lo trovo scorretto, limitativo e dannoso. Se avessi ‘sposato’ la prima terapia che portava dei benefici su mio figlio, probabilmente, lui non sarebbe il bambino che è oggi. Quel mio continuo non accontentarmi mi ha aiutata a dare a mio figlio tutti gli strumenti che oggi, nel bilancio di tutti questi anni, giudico preziosi ed indispensabili. Senza escluderne alcuno. E’ questo il messaggio che vorrei lanciare ai genitori:quando intraprendete una strada non pensate mai che sia quella definitiva per la vita. Precludereste davvero tanto ai vostri figli per i quali vale la pena valutare ogni tipo di ‘strumento riabilitativo’ che attualmente il ‘mercato’ offre. Bisogna anche ricordarsi che ogni bambino è diverso dagli altri e anche ogni famiglia è diversa dalle altre, e quindi è fondamentale informarsi per scegliere quale possa essere la strada migliore in quel determinato momento. Quando prende in carico un bambino, da dove comincia? Dai genitori. Loro sono il fulcro di tutto. Sono i genitori le prime persone con cui un bambino impara a relazionarsi e da questa relazione impareranno poi a sviluppare tutte le altre. Quindi sono i genitori che si devono impegnare in prima linea per aiutare il proprio bambino in questo percorso. Attraverso il percorso RDI si cerca di ridare fiducia alle mamme e ai papà, che spesso non sanno gestire il proprio figlio affetto da autismo, non perché non vogliano, ma perché non sanno come fare, hanno paura di sbagliare, di non essere bravi. E invece attraverso l’RDI si vuole restituire ai genitori quel senso di competenza dell’essere tali, e sostenerli nell’insegnare al proprio figlio quelle abilità che i problemi neurologici chiamati autismo non hanno permesso loro di sviluppare in modo adeguato. Così la famiglia può ritornare a svolgere un ruolo attivo ed essere veramente coinvolta nel percorso educativo del bambino. Si possono conciliare Aba ed Rdi? Perché no? Ma questo è un mio giudizio personale. Quando mi sono avvicinata all’Rdi, a scuola e a casa mio figlio faceva Aba. Quel percorso noi l’abbiamo continuato in certe circostanze, soprattutto per continuare a lavorare sul cognitivo. Contemporaneamente però, io, mio marito e mia figlia abbiamo iniziato con l’Rdi. So di altre persone che invece hanno smesso Aba e iniziato RDI. Anche questa ritengo debba essere una scelta delle famiglie, in base alla loro situazione e alle priorità che hanno per il loro bambino. Quanto conta nella professione che ha deciso di intraprendere il suo essere mamma di un bambino autistico? Questo mi comporta vantaggi, ma anche svantaggi. Se da una parte, quando prendo in carico un bambino, riesco a calarmi perfettamente nello stato d’animo dei genitori, riuscendo ad andare loro incontro perché capisco come si sentono, il loro senso di inadeguatezza e insicurezza spesso difficile da confessare, dall’altra parte sono poco imprenditrice di me stessa e non riesco a staccarmi da quel sentimento di solidarietà che esiste tra noi mamme. Questa componente emotiva mi porta a trascurare il lato ‘commerciale’ della mia professione. Sento colleghi che quando relazionano nel corso dei convegni informativi, riescono ad essere distaccati e a ‘propagandare’ il metodo in cui hanno investito tempo e denaro. Io non riesco proprio a farlo. A proposito di convegni informativi, lei ne ha già organizzati due … Sì, perché una delle mie priorità principali è informare i genitori e i professionisti sull’RDI, che, come abbiamo detto, è ancora poco conosciuto in Italia. Ci tengo anche a dire che non percepisco compenso per questi convegni, che ho organizzato in collaborazione con il Comitato Montinari, a cui viene devoluto il ricavato. Il Comitato Montinari è un'associazione di volontariato senza scopo di lucro, che si pone come obiettivo di operare per la prevenzione, la diagnosi e la terapia nell’autismo e nelle malattie correlate, attraverso diverse attività, tra cui per esempio l'istituzione di borse di cura per famiglie bisognose. Come vede il futuro di suo figlio? Non ho mai avuto certezze io e le mie scelte dimostrano questo mio lato caratteriale, che nel mio caso è servito a mio figlio. Di una cosa sono certa: il mio bambino ha fatto tantissimi progressi, che sono il frutto di un paziente lavoro di anni e anni di riabilitazione. So che lui andrà avanti ancora. Non so dove arriverà, ma non si fermerà qua. La storia di Sara e Rita. Due donne diverse, due amiche per la pelle. Si sono conosciute sul web, in uno dei tanti forum di discussione che popolano internet. Luoghi virtuali dove si litiga spesso per quel tentativo che sta nella natura umana di far prevalere le proprie idee e convinzioni sull’altro. Ma sono anche dei ‘luoghi’ in cui possono nascere ed essere coltivate straordinarie amicizie. Legami particolari che trovano terreno fertile nell’ombra di un sentiero buio e tortuoso come quello dell’autismo. Terreni dove sembra essere stata seminata solo la pianta del dolore, ma, invece, capaci di sviluppare fiori bellissimi e profumatissimi. I fiori dell’amicizia come quella di Sara e Rita. La prima Senior Tutor Aba, la seconda consulente Rdi in training. Sara e Rita si sono conosciute su uno dei gruppi Yahoo. Due donne combattive, due forti personalità che spiccano per forza e carattere. Chi le legge non può che rimanere abbagliato da quegli interventi sempre intelligenti e opportuni. Interventi di mamme decise e preparate, che grazie alla loro conoscenza dell’inglese sono in grado di tradurre documenti importanti che mai sarebbero arrivati in Italia se non ci fossero state loro a tradurli. Unite dalla ricerca disperata di quanto potesse aiutare i loro bimbi quasi coetanei si sono piaciute subito. Hanno deciso di approfondire quell’empatia attraverso delle email in cui hanno avuto modo di mettere a confronto le rispettive esperienze. Si sono scambiate gioie, dolori e speranze. Quante ore trascorse davanti al pc a raccontare il proprio dramma interiore. Un sentirsi vicine, mano della mano quando invece, a separarle c’erano chilometri di distanza. La loro diversità caratteriale contraddistingue questa coppia di amiche che si stimano e si rispettano, nonostante il loro pensiero spesso non coincida perfettamente. Sono uniche per questo. Sara è una mamma che appare sicura, Rita è una che non ha paura di mettere a nudo le proprie insicurezze. Si completano a vicenda. Oggi, i loro figli hanno 9 e 10 anni e rappresentano il ‘frutto’ della continua ricerca del meglio che sono riuscite a garantire loro, senza perdersi in chiacchiere, andando dritte per percorsi riabilitativi differenti, ma in cui mettono una passione che le accomuna. La ‘tedesca’ e la ‘siciliana’ si vogliono bene come sorelle. Il loro rapporto è cresciuto nel tempo. Si sostengono a vicenda e grazie al punto di riferimento che rappresentano l’una per l’altra, non sono sole mai. Non lo sono mai state in tutti questi anni di convivenza con l’autismo. Quando Rita è in giro per i suoi convegni, Sara si attacca al telefono e la sostiene. Quando non può essere presente fisicamente, il suo pensiero è fisso sull’amica. Grazie Sara, grazie Rita per l’esempio umano e professionale che rappresentate. Grazie per aver messo a disposizione di altri bambini quanto avete imparato negli anni per i vostri figli.Grazie a nome dell’intera comunità di genitori di bimbi autistici che vuole dirvi che ha fiducia in voi come mamme e come professioniste. Grazie per il duro lavoro di traduzione e per quanto riuscite a fare sui forum che moderate. Grazie. Natalia Bandiera |
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